Ferdinando Adornato
Ferdinando Adornato

La carta di Putin/La variabile “tempo” nella guerra in Ucraina

di Ferdinando Adornato
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Mercoledì 23 Agosto 2023, 00:22

I regimi autoritari non hanno fretta. Non hanno opinioni pubbliche cui dar conto e, se intraprendono una guerra che si rivela più difficile del previsto, non si pongono limiti, né di costi umani né di tempo. 
Non è così per le democrazie. Esse devono tener conto del consenso dei popoli, dei livelli di benessere minacciati e sono perciò obbligate a un continuo rendiconto delle scelte politiche e militari. Così, dopo un anno e mezzo di conflitto nel cuore dell’Europa, il “fattore tempo” sta diventando un problema: quanto ancora durerà la guerra? 
Perciò l’umore che serpeggia nella coalizione degli alleati dell’Ucraina non è dei migliori, specie dopo le disillusioni sul successo della controffensiva ucraina. Ne sono state un segnale, per quanto subito smentite, le recenti dichiarazioni di un alto funzionario Nato sulla possibilità di cedere territori ucraini in cambio di un’immediata partecipazione di Kiev all’Alleanza Atlantica. Seguito a ruota da Nicholas Sarkozy. 


Il mondo è stanco di questa guerra. L’Occidente è stanco di questa guerra. Putin, però, ecco il punto, non lo è affatto. Perciò, visto che l’ipotesi “territori in cambio di pace” resta comunque nel retro-pensiero di diverse leadership, e nelle ipotesi strategiche fatte circolare da molte agenzie di intelligence (che disegnano un futuro di tipo coreano) conviene chiedersi per tempo se essa sia politicamente realistica. E cioè se sarebbe davvero in grado di farci guadagnare la pace. E’ evidente che, prima di tutto, bisognerebbe riuscire nella improba impresa di convincere il popolo ucraino. Ormai quasi l’intera popolazione conta una madre, un padre, un figlio, un amico ucciso o torturato. Molti piangono una figlia violentata sotto i loro occhi o un bambino rapito e deportato in Russia. 


Non sarà certo facile convincerli che questi atroci sacrifici siano stati inutili, e farli firmare una “pax mutilata”. In ogni caso, non è difficile immaginare che le ostilità non cesserebbero affatto e che continuerebbero sotto forma di una lunga resistenza popolare. Fonte di una permanente instabilità nel cuore dell’Europa.
In secondo luogo l’Occidente dovrebbe chiedersi dove si nasconda il proprio vantaggio. Sarebbe forse lungimirante decretare che un selvaggio atto di forza, che ha violato il diritto internazionale e riproposto inauditi crimini di guerra, possa essere alla fine premiato? Anche perché non è affatto certo che l’esito sarebbe quello di un’Europa più sicura. 


La dittatura di Putin troverebbe, infatti, in questa ipotesi, un’ulteriore conferma della “debolezza” dell’Occidente e del successo della propria aggressività, tanto da indurlo a riproporla. Insomma, è assai arduo pensare che questa “pax mutilata” conquisterebbe davvero pace e sicurezza.
Nel 2014 l’Occidente scelse di chiudere gli occhi di fronte all’invasione della Crimea.

Oggi tutti riconoscono che fu un errore. Così nel 2022, sia pure all’inizio con mille cautele e lentezze, si scelse di cambiare strada e di schierarsi risolutamente con la nazione aggredita. La qual cosa, intanto, ci ha già fatto guadagnare l’indipendenza energetica che, in termini geostrategici, non è cosa di poco conto. 


Ora dobbiamo convincerci del fatto che non ci sarà vera pace senza difendere (come il recente vertice di Gedda, Cina compresa, ha ammonito) l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ai tempi di G.W. Bush l’Occidente si divise sulla domanda se si potesse “esportare la democrazia” con le armi: saggiamente decise per il no. Ma, con le armi, è forse lecito “esportare” le dittature? E’ evidente che non possiamo permetterlo. Proprio per questo è vero che gli ucraini stanno morendo anche per la nostra libertà.


Certo, è terribile dover riconoscere che allo stato non si vedano exit strategy né militari né diplomatiche. Eppure bisogna rendersi conto che, per trovarle davvero, occorre prepararsi a resistere a quel “fattore tempo” che logora le democrazie ma non le dittature. 
In altri tempi si sarebbe detto che «bisogna resistere un minuto in più di Putin». L’Occidente è la patria del dubbio. Guai a perdere questo nostro tratto di civiltà. Ricordandoci, però, che il dubbio occidentale per eccellenza è quello che spinge Amleto, nel monologo più famoso della letteratura europea, a chiedersi se «sia più nobile» arrendersi all’ingiustizia o prender contro di essa le armi. I nostri valori si sono affermati, e la nostra sicurezza è cresciuta, scegliendo sempre la seconda strada.

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