Paolo Graldi
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Castelporziano, gli incendiari d'Italia: patologia da investigare

di Paolo Graldi
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Mercoledì 18 Agosto 2021, 00:16

Attacco incendiario alla pineta di Castelporziano, residenza estiva del Presidente della Repubblica. Mattarella ringrazia quei cittadini che hanno prontamente dato l’allarme; i vigili del fuoco hanno spento i focolai attivati da inneschi. Nelle parole del Presidente si avverte il richiamo a una mobilitazione nazionale, ad un accresciuto senso di responsabilità, di attenzione guardinga nel segno di una prevenzione che manca, che non basta. 
 

Questa è l’estate dei roghi diffusi e micidiali come mai in questi ultimi decenni, complice l’ondata di caldo, i venti che alimentano le fiamme, l’incuria a cui vasti territori vengono lasciati. 
Per interesse, per calcolo o per insipienza. Sta il fatto che questo record di disastri ambientali, che non ha risparmiato nessuna regione ma che ha martoriato Sicilia e Sardegna, mette a nudo una realtà che è sfuggita di mano. 

Ci sono probabilmente carenze legislative da colmare, leggi e pene da rivedere per aumentare la deterrenza e per sanzionare i colpevoli. Dunque sarà il Parlamento a mettere mano alla materia. Finora lo ha fatto di malavoglia. Certo, così non basta. Le proposte non mancano, serve determinazione politica, proprio nel momento in cui dall’Europa giungono fondi destinati alla cura dell’ambiente. La Protezione Civile ha fatto sentire la voce di un sistema piegato da carenze antiche e da nuove non risolte necessità . 

I bollettini quotidiani dei roghi illustrano anche i miliardi di danni andati in fumo e i tempi infiniti necessari per tornare alla normalità. La mappa degli incendi dimostra che non si tratta di fatti isolati. Sono una catena di episodi che si configura come fenomeno. Un fenomeno di stampo criminale, non di rado con forti connotati mafiosi, di aperta sfida alla legalità, al vivere civile. 
Non sono piromani: qui le patologie mentali c’entrano poco o niente. Sono incendiari, che è tutt’altra cosa. Questo punto va fissato e mantenuto perché lava via facili alibi e luoghi comuni. Buttarla in “caciara” aiuta, infatti, questi criminali.
 

Incendiare auto, moto e boschi viene vissuto come gesto di sfida alla società civile, quella che si riconosce senza deroghe nella salvaguardia del bene comune vissuto come bene proprio. Ogni anno il copione degli incendi si ripete come se si trattasse di un rituale barbarico, la ricerca dello scempio, del divampare delle fiamme come rito sacrale per vedere e mostrare l’effetto che fa la mobilitazione concitata dei soccorsi, degli aerei e degli elicotteri che riversano acqua contro devastazioni di ettari su ettari. 
Un’infezione contagiosa che si propaga e moltiplica i suoi punti di attacco.

Serve capire chi sono questi criminali. Da quali motivazioni, sempre diverse e sempre uguali, muovono i loro gesti preordinati, premeditati, studiati nei dettagli per ottenere il massimo del danno con il minimo sforzo. 

Bisogna individuarli. Studiarli come si fa con altri generi di crimini, nei loro risvolti psicologici e motivazionali. Bisogna capire quali interessi sono alla base dei progetti incendiari per poi conoscerli e prevenirli. 
Capire al fondo se chi appicca il fuoco conta su qualche vantaggio, magari una licenza, o qualche beneficio elargito localmente. Una volta si è scoperto che gli incendiari in una zona della Calabria erano alcuni uomini della Forestale: d’estate con gli inneschi da azionare e d’inverno ingaggiati nella riforestazione. 
Un circuito perverso troncato quando un sindaco ha decretato che la cenere dei boschi sarebbe rimasta tale. Un fronte con evidenze carenze e vuoti da colmare riguarda le indagini, le investigazioni, quel lavoro difficile, continuo, organizzato che sia capace di azioni coordinate su vasta scala, come accadde per fronteggiare il terrorismo rosso e nero. Forse manca proprio la creazione di una task force che si specializzi nella materia e maturi metodi di analisi e di attacco all’altezza della sfida. 

Insomma, è con le indagini e un’intensa azione di intelligence che si deve affrontare la questione. Qualcosa si muove. Intellettuali e opinionisti hanno scritto al presidente Draghi per chiedergli un’azione di forza. Silenzio da palazzo Chigi per ora ma non significa che non ci sia l’intenzione di prendere quei fuochi e spegnerli. Almeno quelli che divampano per effetto degli inneschi criminali. 

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