Mario Ajello
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Giulia Cecchettin. Sforzo collettivo/ L’impegno degli uomini al fianco delle donne

Mai più un’altra Giulia. L’impegno degli uomini al fianco delle donne
di Mario Ajello
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Sabato 25 Novembre 2023, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 09:52

La mobilitazione degli uomini. Questo serve. Una mobilitazione delle coscienze che va poggiata su questo assunto: il coraggio di chiedere scusa tutti insieme, pur non essendo colpevoli di nulla la stragrande maggioranza di noi, per le violenze sulle donne. Questo sarebbe il modo migliore, per l’insieme dei maschi impressionati e sconvolti dall’omicidio di Giulia Cecchettin e dalla strage delle oltre cento donne uccise quest’anno da uomini a cui erano legate, senza contare l’infinità di comportamenti minacciosi e aggressivi, maschilisti e misogini che affollano la vita quotidiana, di onorare la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nella quale è prevista anche la manifestazione di oggi a Roma, al Circo Massimo.


Non è retorica e demagogia, e tantomeno si tratta di un rito di degradazione o di un mea culpa di comodo, chiedere scusa in quanto uomini.

E’ viceversa un atto di responsabilità verso le nostre figlie e i nostri figli, perché siano liberi dalla cultura della sopraffazione. Non solo. Farsi carico tutti dell’obbrobrio di pochi, che sono sempre troppi, significa alzare il livello dell’allarme sociale; spezzare certa abitudine alla minimizzazione; lanciare un grido collettivo contro la virilità tossica che fa parte del contesto generale e di quel substrato antropologico di maschilismo e di costume patriarcale che purtroppo la modernità non è riuscita a cancellare del tutto, relegandolo nel passato più infrequentabile. Assumersi la responsabilità in nome di altri, è insomma un avvertimento affinché la barbarie venga riconosciuta come tale da tutti ma proprio da tutti, senza distinzioni di genere, di colori politici, di origini sociali e familiari. 


Ma soprattutto: se gli uomini in quanto uomini si mobilitano chiedendo scusa e dicendo basta, si riesce forse a isolare meglio quelli che fanno violenza, a evidenziare pienamente la loro condizione di inciviltà omicida, a togliere loro l’acqua in cui sguazzano che è quella dell’assordante silenzio di troppi maschi, dell’indifferenza, della sottovalutazione. E perfino di quel sentore di giustificazionismo che, sia pure non riferito di solito ai femminicidi ma ad altre forme di prevaricazione ritenute - a torto - meno gravi, si avverte spesso rispetto a comportamenti violenti. Che vengono legati, quasi a volerli assolvere o almeno a tollerare, a un ragionamento purtroppo abbastanza diffuso secondo cui è colpa delle donne: se un uomo è aggressivo è perché lei ha fatto qualcosa di sbagliato (rifiutarlo, lasciarlo) e se questa condizione di malessere e di disperazione arriva all’eccesso producendo comportamenti sbagliati bisogna anche risalire all’origine della catena. Un modo di ragionare tremendamente assurdo, che non riconosce il ruolo di vittime alle vittime e il ruolo di carnefici ai carnefici. 


Assumersi collettivamente una responsabilità serve anche a far sentire le donne meno sole. Così come a questo serve allertarsi di più e in ogni circostanza, proprio come uomini, per riconoscere e fermare gli atti di sopraffazione e denunciarli sia se vengono compiuti nella vita sociale e cittadina sia se riguardano l’ambito delle famiglie e dei giri di amicizie. Quando un uomo che sta facendo violenza trova in un altro uomo una barriera culturale e pratica, un contraltare consapevole e inflessibile, si sente un pesce fuor d’acqua e diventa più debole. O almeno questa è la speranza. E ancora: l’alibi della fragilità nessun uomo deve riconoscerla all’altro uomo. Anche perché tante volte è proprio questa presunta fragilità che impedisce - e ne è riprova l’audio con la voce di Giulia Cecchettin pubblicato dal Tg1 - alle donne di allontanarsi da una relazione. E così si espongono a ulteriori rischi. 


Ecco, servirebbe che tutti quanti, in una corale reazione di genere, ci facessimo carico del mai più, del not in my name, dell’impegno totale a rivendicare la maniera giusta di essere uomini e il modo corretto di rapportarci con le donne. Non bastano le indignazioni personali, il muoversi in ordine sparso, il credere che la violenza di genere sia prerogativa esclusiva di un altro (il pazzo, l’esaltato, il disperato, il machista) e non abbia a che fare complessivamente e profondamente con una mentalità che viene da lontano e che purtroppo ci è restata attaccata, non a tutti ma a tanti, più di quanto noi siamo capaci di accorgercene. 


La mobilitazione degli uomini va intesa come un fatto sociale e di sicurezza urbana e familiare (anche gli uomini possono e devono presentare denunce) e insieme come un poderoso scatto in avanti a livello culturale. L’uomo forte, nel senso di emancipato e in grado di sostenere la complessità della vita contemporanea e della convivenza paritaria con l’altro sesso, è quello che combatte a viso aperto gli stereotipi della mascolinità. Un cambio di paradigma è necessario. Sarà un percorso lungo ma va imboccato subito e decisamente per un senso di civiltà e di giustizia. E contro la realtà negativa di una società asimmetrica, dove è inutile e ridondante continuare a parlare di diseguaglianze se non si mette mano in primo luogo alle diseguaglianze di genere che, oltretutto, le donne pagano anche con le violenze che subiscono.

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