Il disagio dei cittadini, le pene aggiuntive - per studenti, pendolari, lavoratori - già normalmente gue dalla prima pagina alle prese con le difficoltà nei trasporti pubblici e con la lunghezza dei tempi di spostamento soprattutto nei centri urbani grandi e medi. E’ questa la scena che oggi, giornata dello sciopero indetto da Cgil e Uil, si imporrà all’attenzione di tutti, graverà sulla vita quotidiana di moltissimi e non sarà una bella scena. I romani e gli abitanti delle altre città finiscono in ostaggio di una serrata di tipo politico - i padri storici del sindacalismo riformista italiano si staranno rivoltando nella tomba - che priva le persone di alcuni dei loro diritti fondamentali: la libertà di movimento e la libertà di poter svolgere il proprio lavoro senza dover sopportare la via crucis per arrivarci.
I due sindacati hanno accettato di ridurre a 4 le ore di disservizio nei trasporti ma resta il fatto che ancora una volta - nel Paese dei dieci scioperi generali all’anno - viene negata a una comunità nazionale la piena agibilità della propria esistenza. A causa di una protesta che nulla c’entra con il merito della legge di bilancio - qualsiasi governo di sinistra, di centro, di destra o tecnico l’avrebbe fatta proprio come questa, visti i chiari di luna - e che si contraddistingue appunto come un atto politico. Comprensivo, e non si sa se ridere o piangere, perfino della lotta contro «la deriva plebiscitaria» che sarebbe quella della legge costituzionale sul premierato.
E’ immaginabile, di fronte a questo tipo di motivazioni dello sciopero, che cosa potranno pensare oggi i romani e tutti gli altri durante le attese infinite alle fermate dei bus o di fronte ai cartelloni degli orari impazziti dei treni che forse partono e magari arrivano ma anche no e nel caos dominante - al netto della speranza che lo sciopero non riesca e non paralizzi tutto - gli utenti del Paese Italia non si faranno una buona idea del sindacato che invece di tutelare le masse popolari si erge ad avanguardia dell’opposizione. Cercando in maniera improvvida e propagandistica di rubare il ruolo a chi, a cominciare dal Pd, questo ruolo sta cercando di svolgerlo come da normale fisiologia democratica. L’anomalia è quella di un sindacato che vorrebbe sostituirsi ai deputati e ai senatori del Pd, scavalcarli, scatenare la protesta di piazza - ammesso che le piazze lo seguano, e questo è tutto da vedere - minimizzando il compito del Parlamento. Uno scavallamento che anzitutto da parte della migliore sinistra andrebbe denunciato. Una sinistra che è la prima vittima, e le menti più lucide dei vertici dem lo sanno benissimo, di questa forzatura politica travestita da sindacalismo movimentista che occhieggia al grillismo in salsa contiana e punta le sue carte sull’eventuale fallimento dell’attuale leadership del Nazareno.
Proprio mentre Elly Schlein cerca di svincolarsi dal richiamo della foresta della sinistra combat - e accettare l’invito di Meloni alla festa di Atreju di dicembre sarebbe stata da parte sua una mossa azzeccata - e mentre da leader dell’opposizione sta intrattenendo con il capo del governo un rapporto di reciproca legittimazione consapevoli entrambe che gli italiani sono stanchi di risse e vogliosi di soluzioni il più possibile condivise, il sindacalismo politico, quello che arriva a definire «squadrismo istituzionale» le raccomandazioni dell’autorità di garanzia sugli scioperi a tutela degli utenti dei servizi pubblici, fa un’opera d’interdizione dura. Una sorta di intervento a gamba tesa rispetto alla corretta dialettica istituzionale, tramite il quale si vuole portare il Paese più indietro e non più avanti. Sta nel binomio meno scioperi e più produttiva la possibile chiave di svolta dell’Italia. Nel meno ideologia e più pragmatismo. In uno sforzo comune per non erigere le barricate ma trovare parole comuni nel rispetto dei diversi ruoli politici e di rappresentanza. Lo sciopero odierno è la negazione di tutto questo. Serve però, parola di Landini, a proporre «un altro modello di sviluppo». Espressione insignificante e che risulterà offensiva per chi in queste ore, invece di guardare a un orizzonte alternativo, vorrebbe vedere all’orizzonte un mezzo pubblico che si avvicina o un insegnante che entra normalmente in classe.