Giuseppe Castagna: «Tassi bassi e più fiducia, la crescita continua»

Giuseppe Castagna: «Tassi bassi e più fiducia, la crescita continua»
di Rosario Dimito
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Venerdì 24 Dicembre 2021, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 16:35

È iscritto al partito degli ottimisti Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm, terzo gruppo bancario italiano.

Dal suo osservatorio coglie la ripresa in atto che potrà essere accelerata con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a condizione che essi siano accompagnati da riforme strutturali. Quanto all’inflazione, a suo avviso non sarà duratura anche se per il momento sta provocando pressione sui prezzi energetici, ma dopo le spinte di queste settimane dovrebbe verificarsi un ripiegamento. Il banchiere napoletano, che è uno dei più rappresentativi in Italia, con un lungo passato in Comit e in Intesa Sanpaolo, prevalentemente nel mondo corporate, parla a tutto campo in questa intervista al Messaggero e rimanda di 12-18 mesi la ripresa del processo di consolidamento bancario.

Castagna, l’esercizio delle previsioni per l’economia italiana del 2022 è in pieno svolgimento e gli ottimisti, nonostante la pandemia sia tornata a dominare, sembrano in numero superiore ai pessimisti. Lei a quale schiera appartiene?

«Sicuramente alla categoria degli ottimisti e motivi per esserlo ce ne sono, visto che l’economia in generale sta mostrando tuttora evidenti segnali di ripresa. Alla ripartenza del manifatturiero già a metà del 2020 è seguita quella di altri settori tra cui, dalla scorsa estate, i servizi, quelli che sono rimasti fermi da più tempo a causa delle chiusure imposte dalla pandemia. Ci troviamo quindi in una situazione positiva che potrà ulteriormente beneficiare di un buon utilizzo dei fondi del Pnrr che, se abbinati a riforme strutturali, favoriranno la crescita del Paese a condizione, chiaramente, che si riesca a tenere sotto controllo la pandemia».

L’inflazione è tornata a mordere in Europa su livelli che non si vedevano da molti anni: quasi il 5%. La presidente della Bce, Christine Lagarde, però non cambia idea: si tratta, secondo lei, di un fenomeno transitorio. Qual è la sua opinione?

«La posizione della presidente Lagarde è assolutamente condivisibile. L’effetto rimbalzo della rapida ripresa dei consumi ha messo sotto pressione energia, logistica e materie prime. Tuttavia, come ha sottolineato Lagarde, gli elementi alla base del picco inflazionistico non sembrano essere strutturali e quindi sono destinati a essere riassorbiti. Quello che registriamo, dal nostro punto di vista, è una crescente fiducia da parte delle imprese che nella gran parte riescono a fronteggiare anche questa fase. Penso quindi che si tratti di effetti destinati ad attenuarsi a mano a mano che la ripresa si stabilizzerà. E noi, come banca, stiamo facendo la nostra parte per supportare le esigenze di capitale circolante delle imprese».

Il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ritiene però che il fenomeno inflazionistico sia tutt’altro che transitorio. Anzi, per evitare sorprese, ha già annunciato l’intenzione di alzare i tassi negli Stati Uniti per tre volte a partire dalla primavera. È pensabile che l’Europa, sempre che Lagarde non cambi idea, mantenga ferma la barra della politica monetaria tenendo fermi i tassi?

«Anche se la Bce è pronta ad agire, nelle condizioni attuali è improbabile un aumento dei tassi di interesse nel corso del prossimo anno.

Noi stessi, nel nostro Piano, abbiamo previsto un rialzo dei tassi di interesse molto contenuto e con un euribor a 3 mesi al 2024 ancora negativo a -0,15. Peraltro è opportuno ricordare che la maggiore pazienza della Bce rispetto all’attivismo della Federal Reserve trova una giustificazione anche nel fatto che nell’Eurozona l’inflazione è rimasta molto bassa per un lungo periodo di tempo, tanto che la Bce ha dovuto ricorrere a strumenti straordinari di politica monetaria».

La Vigilanza Bce, nella persona del suo presidente Andrea Enria, è tornata a sollecitare nuovi aumenti di capitale per le banche europee, italiane in particolare. In ciò sostenuta da alcuni membri del board dell’Eurotower. Davvero è così necessario riprendere la via delle ricapitalizzazioni?

«Al momento non mi pare che dalla Bce arrivino sollecitazioni sulla ricapitalizzazione delle banche. Naturalmente, l’azione della Bce resta ispirata dalla massima prudenza sui temi fondamentali per tutti gli intermediari: struttura dei ricavi, contenimento dei costi, andamento degli Npl e liquidità. Tutti ambiti nei quali le banche italiane, a parte i noti casi da tempo in attesa di soluzione, hanno lavorato bene, contemperando le indispensabili attività di sostegno all’economia nel quadro dell’emergenza sanitaria con la differenziazione delle fonti di ricavo e lo scrupoloso monitoraggio di crediti, liquidità e capitale. E Banco Bpm, come dimostrano i solidi numeri dell’ultima trimestrale, risponde in modo eccellente a queste istanze. A questo, si aggiungano le buone prospettive del Piano Strategico che abbiamo presentato lo scorso novembre e che mercato e investitori hanno accolto con favore, riconoscendone ampiamente la validità».

Tra le due grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, è scattata una gara a chi remunera meglio gli azionisti. Premesso che la scelta di un istituto sul fronte del pay-out è del tutto discrezionale e risponde a logiche che si rifanno ai diversi piani industriali, anche lei ritiene superata la fase in cui era preferibile patrimonializzare i profitti? In questo scenario, qual è la politica che intende seguire Banco Bpm?

«È importante remunerare gli azionisti per ripagare la fiducia che essi ripongono in te. Ma è altrettanto importante un buon livello di patrimonializzazione che consenta sia di soddisfare i requisiti imposti dalla vigilanza sia di avere capitale sufficiente per investire sulla crescita e sull’attrattività della banca, a beneficio di tutti gli stakeholder».

E dunque, quale sarà la vostra politica?

«Per quanto ci riguarda, quest’anno abbiamo ricominciato a distribuire un dividendo e ci auspichiamo di continuare così. Abbiamo capitale abbondantemente al di sopra dei minimi regolamentari cosa che ci permette, nel prossimo triennio, di assicurare un payout almeno del 40%. Si tratta di un obiettivo credibile che intendiamo raggiungere; siamo anzi convinti che ci sia uno spazio per essere ancora più generosi con i nostri azionisti».

Dopo la conclusione della trattativa tra Unicredit e Mps, il risiko era andato in letargo. Poi il ceo della prima, Andrea Orcel, non escludendo una manovra su Banco Bpm, ha smosso le acque e l’affondo di Bper su Carige è diventato uno scossone. Quali, secondo lei, le prossime mosse?

«Un’ulteriore fase di consolidamento è inevitabile per mettere il settore bancario in condizione di rispondere efficacemente a tutte le sfide che si stanno presentando sul mercato. È probabile che nell’orizzonte di 12-18 mesi, una volta chiarite le situazioni rimaste ancora in sospeso, lo scenario ricominci a muoversi. Dal nostro punto di vista, come penso anche per gli altri intermediari, non c’è nessuna urgenza. Il nostro nuovo piano strategico stand alone ha obiettivi chiari, raggiungibili ed equilibrati nel contemperare le aspettative di tutti. Detto questo, siamo disponibili a valutare con attenzione eventuali operazioni che ci permetterebbero di creare valore per la banca e per i nostri stakeholder».

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