Un obiettivo per molti versi suggestivo e sicuramente interessante per ampie fasce di lavoratori. Come pure per alcune imprese. La settimana corta, quattro giorni di lavoro tendenzialmente a parità di orario, è stata sperimentata anche in varie realtà italiane, oltre che in altri Paesi europei, in concomitanza con i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro connessi all’evoluzione tecnologica. Questo modello, pur se con prudenza, viene ora riproposto dal governo in chiave ambientale: insieme allo smart working potrebbe contribuire a ridurre il peso degli spostamenti privati e quindi quello delle emissioni di Co2. Obiettivo da conseguire naturalmente anche attraverso un maggior ricorso al trasporto pubblico e con il graduale passaggio ai veicoli elettrici. Si tratta naturalmente solo di una frazione dello sforzo potenzialmente richiesto per tagliare i traguardi, assolutamente impegnativi, fissati a livello europeo. Ma proprio il fatto che il percorso è difficile spinge l’esecutivo a valutare un’ampia gamma di soluzioni.
I PROBLEMI
Cosa ne pensano le parti sociali? Il tema di sicuro cattura l’attenzione, ma pone anche una serie di problemi. Difficilmente - su questo il consenso è piuttosto trasversale - ci potrà essere uno schema unico, definito per legge. Piuttosto, il tema dovrà essere affidato alla valutazione dei singoli settori produttivi e dunque alla contrattazione.
Da parte di Confindustria c’è cautela, una cautela in qualche modo già espressa sul tema del lavoro agile. «Lo smart working lo abbiamo sperimentato in una fase di emergenza - argomenta Maurizio Stirpe, vicepresidente con delega a Lavoro e Relazioni industriali - in alcuni casi ha funzionato in altri rischia invece di essere un serio limite all’attività».
Anche Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, riconosce che il tema «non è facile». Ma si dice favorevole alla sperimentazione, che del resto è già in corso in alcune realtà del nostro Paese. «L’esigenza ambientale è una ragione in più per provare a liberare tempo per i lavoratori, a condizione naturalmente che si mantengano i livelli di produttività». Dal suo punto di vista questo non vuol dire per forza garantire lo stesso orario complessivo. E d’altra parte Benaglia vede bene le criticità che si pongono nelle imprese in cui su lavora su turni. Dunque «bisogna provare nuovi modelli, che non si concentrino necessariamente sul venerdì libero». Non serve una legge, ma lo Stato potrebbe fare la sua parte con qualche forma di incentivo.
GLI EFFETTI SOCIALI
Anche la Cgil sottolinea l’esigenza della contrattazione: «Siamo per la riduzione dell’orario di lavoro, a partire dalla cosiddetta settimana corta, una riduzione dell’orario di lavoro che deve essere a parità di salario e che deve essere contrattata». Linea simile quella della Uil. «Da anni proponiamo la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, da adottare a livello aziendale, per far fronte agli effetti sociali della transizione e dell’innovazione».
Infine l’Ugl si mostra possibilista «a condizione di salvaguardare la produttività».