Il progetto di Funky Tomato è nato nel 2015 e ha coinvolto 90 quintali di prodotto trasformato e i volumi di produzione sono aumentati di 55 volte arrivando nel 2018 a 5.000 quintali di prodotto finito, realizzato col coinvolgimento di una trentina di lavoratori presi in carico dagli agricoltori della filiera, tutti del Sud d’Italia, nella prospettiva di dare loro continuità.
Il pomodoro di Funky Tomato si può acquistare per ora solo online, ma l'idea è quella di riuscire in futuro a stringere degli accordi commerciali con catene come Conad e Coop per arrivare anche nella grande distribuzione.
«Funky Tomato è la prima filiera di produzione di conserve di pomodoro che garantisce il rispetto e la dignità di tutti gli attori coinvolti nella filiera, promuovendo un’agricoltura diversificata, contrattualmente forte, consapevole delle proprie connessioni con il paesaggio e l’ambiente, attenta alle relazioni di lavoro, capace di costruire percorsi di inserimento lavorativo e di interazione culturale. Siamo molto felici che quest’anno al contratto partecipino importanti realtà del terzo settore, della distribuzione e della produzione agricola sostenibile, che offriranno alla rete un importante valore aggiunto», ha commentato Paolo Russo di Funky Tomato.
L’industria italiana del pomodoro rappresenta oltre il 12% della produzione mondiale e il 55% della produzione europea, coinvolgendo quasi 10 mila agricoltori e 120 aziende di trasformazione, per un giro di affari annuo compreso tra 1,4 e 2 miliardi di euro. Dietro a questo business, però, si nasconde spesso un meccanismo polarizzato di pochi grandi attori, tra industrie alimentari e attori della grande distribuzione, che dominano il mercato praticando politiche di prezzo al ribasso che hanno conseguenze drammatiche sulle condizioni di lavoro, la salute, l’ambiente e la sostenibilità economica di lungo periodo di un’intera filiera.
Dai piccoli contadini che non riescono a rientrare nei costi di produzione e molto spesso finiscono per chiudere la propria azienda agricola, alle migliaia di braccianti stranieri, per lo più originari dell’Africa sub-sahariana, che giungono nel meridione per cercare impiego nella raccolta del pomodoro e finiscono per vivere e lavorare al di fuori della legalità e della dignità, la filiera italiana del pomodoro (come pure altre filiere agroalimentari) è ancora oggi teatro di episodi di grave sfruttamento.
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