Autonomia, conti a rischio: anche i saggi ora frenano. «Favorite le regioni ricche»

Nel mirino l’utilizzo di tasse statali per finanziare la “devolution” del Nord

Autonomia, conti a rischio: anche i saggi ora frenano. «Favorite le regioni ricche»
di Andrea Bassi
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Giovedì 17 Agosto 2023, 01:11 - Ultimo aggiornamento: 18 Agosto, 08:52

L’autonomia differenziata chiesta da Veneto e Lombardia mette a rischio i conti pubblici. Non solo. Se si permetterà di finanziare le competenze che saranno trasferite dalle amministrazioni centrali alle Regioni attraverso il meccanismo della compartecipazione a tributi statali, i territori più “ricchi” avranno risorse in eccesso a scapito di tutti gli altri.

L’allarme non è nuovo. Ma stavolta a metterlo nero su bianco sono gli stessi “saggi” nominati dal ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli nel cosiddetto Comitato Clep, l’organismo presieduto dal giurista Sabino Cassese e che “assiste” il governo nel percorso che dovrebbe portare all’autonomia differenziata chiesta dalle ricche Regioni del Nord. Nei giorni scorsi, dopo pressanti richieste del Parlamento, il Comitato ha trasmesso alla Commissione Affari Costituzionali del Senato tutta la documentazione con le riflessioni e le conclusioni del lavoro dei nove sottogruppi nei quali i 56 esperti nominati dal governo erano stati divisi. 


I DOCUMENTI
Ed è proprio la documentazione del «sottogruppo 9», quello chiamato ad occuparsi del «coordinamento della finanza pubblica» a destare le maggiori preoccupazioni.

Anche per l’autorevolezza dei componenti: il governatore uscente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il Ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, il presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (e membro della delegazione che tratta l’autonomia per il Veneto), Elena D’Orlando, il presidente dell’Anvur Antonio Felice Auricchio e Andrea Giovanardi, membro della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, tra i principali teorici dell’autonomia veneta (anche lui fa parte della delegazione che per il Veneto tratta il trasferimento delle materie con lo Stato italiano). Del sottogruppo faceva parte anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo, ma si è dimesso dal Clep in polemica all’inizio dell’estate insieme all’ex ministro Franco Bassanini, il presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato. 


Ecco cosa scrivono nelle loro conclusioni i “saggi” di Calderoli. «Qualora i Lep ( i livelli essenziali delle prestazioni da garantire in tutti i territori, ndr) venissero finanziati con il meccanismo della compartecipazione si verificherebbero con l’andar del tempo disallineamenti fra le risorse disponibili e le necessità di spesa delle Regioni (ovvero le risorse sarebbero in eccesso negli ambiti territoriali caratterizzati da una dinamica della base imponibile e del gettito più elevata, ponendo rischi per le compatibilità finanziarie aggregate)». Proviamo a spiegare meglio. Supponiamo che lo Stato “devolva” la materia istruzione al Veneto o alla Lombardia. Oltre alle competenze andrebbero trasferite anche le risorse necessarie a gestirle: pagare gli stipendi agli insegnanti, al personale ausiliario, garantire il trasporto degli alunni, le palestre, le mense. Lo Stato insomma, dovrebbe girare i soldi che attualmente spende per quella funzione alle Regioni. In che modo? Il progetto “autonomista” prevede la cessione di un pezzo delle tasse statali, per esempio una quota dell’Irpef o dell’Iva. Supponiamo per semplicità, che lo Stato spenda 100 nel Veneto per l’istruzione e che quel 100 valga, per esempio, il 10% dell’Irpef raccolta tra i cittadini veneti. Il Veneto per finanziare l’istruzione, allora, potrebbe trattenere il 10% dell’Irpef maturata nella Regione. Ma cosa succede se l’anno successivo i cittadini veneti dichiarano più tasse dell’anno prima? Quel 10% non varrebbe più a 100 ma, supponiamo, 110. A chi andrebbe questo 10 in più, allo Stato o alla Regione? È questa la domanda che nel progetto Calderoli è ancora senza risposta e che ha creato allarme anche nel «sottogruppo 9» del Comitato Clep. 


IL PASSAGGIO
C’è una ragione per cui questo punto è decisivo: rischia di mettere a repentaglio i conti pubblici. Il ddl Calderoli, si legge nei documenti del Clep, «non chiarisce i meccanismi per gli anni successivi (si manterrebbe la stessa percentuale di compartecipazione? Con la eventualità da un lato che le risorse si rivelino insufficienti, o dall’altro di disporre di risorse addizionali, in entrambi i casi con un aggravio degli oneri a carico del bilancio dello Stato)». Insomma, il meccanismo finanziario posto a base dell’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del Nord non funziona. E per questo, conclude il sottogruppo «bisognerà assicurare la minimizzazione ed efficace gestione di rischi per la finanza pubblica e fare in modo che, sia nel breve che nel lungo periodo, tutte le amministrazioni contribuiscano per la parte che loro compete al raggiungimento degli obiettivi di bilancio stabiliti dalla politica economica nazionale nel suo complesso». Altrimenti potrebbe concretizzarsi il rischio che ha portato alle dimissioni di Bassanini, Amato, Gallo e Pajno. Ossia che per garantire l’autonomia, lo Stato poi debba tenere in equilibrio il suo bilancio e mantenere sostenibile il debito, tagliando spese per le quali si è scelto di non definire i Lep, come le pensioni o la sicurezza pubblica. 
 

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