Alitalia, il presidente di Atlantia: «Siamo ancora disponibili, ma serve un vero piano di rilancio»

Alitalia, il presidente di Atlantia: «Siamo ancora disponibili, ma serve un vero piano di rilancio»
di Osvaldo De Paolini
5 Minuti di Lettura
Venerdì 6 Dicembre 2019, 07:59 - Ultimo aggiornamento: 14:08

«Premesso che Atlantia resta interessata a sostenere il rilancio di Alitalia, la proposta di Delta è però del tutto inadeguata perché non identifica quel partner industriale realmente coinvolto di cui il progetto averebbe bisogno. Senza questo presupposto, i denari investiti da Atlantia e dagli altri soci sarebbero stati solo un contributo a un salvataggio destinato a fallire». Fabio Cerchiai, presidente di Atlantia proprio non digerisce l'accusa ad Atlantia di aver «finto» la trattativa con Fs su Alitalia solo per guadagnare tempo. «Quella trattativa ha comportato un forte impegno di uomini e risorse e il nostro interesse al rilancio è tuttora evidente visto che Fiumicino, l'aeroporto più importante d'Italia, fa capo a noi e che il fallimento della compagnia avrebbe un impatto pari al 28% dei nostri ricavi aviation».

​Alitalia, si lavora sui tagli: sindacati sulle barricate. Confermato lo sciopero del 13 dicembre

Non pensa che avete commesso un errore ad abbandonare la partita nel momento più delicato? Soprattutto in relazione all'altra partita, quella sulle concessioni autostradali?
«Non è stato un errore. Il governo ha chiesto che fosse elaborato un piano effettivo di rilancio, non di salvataggio. E noi a quello siamo interessati. Con Delta indisponibile a cimentarsi nella gestione della compagnia, è impensabile varare un piano industriale di vero rilancio. Per questo insieme a Fs abbiamo preso contatto con Lufthansa, decisamente più disponibile sul versante industriale, seppure a certe condizioni».

Non avete pensato che abbandonando la partita Alitalia, la trattativa sulle concessioni, con Di Maio pronto a spararvi addosso quotidianamente, sarebbe diventata una salita ancor più ripida?
«Ci abbiamo pensato, tanto è vero che non abbiamo esitato a farne menzione nella lettera del 2 ottobre inviata al ministro Patuanelli. Ma non potevamo fare diversamente. Come si può pretendere che Atlantia si impegni in un'avventura a rischio e destinata ad assorbire ingenti risorse, quando il futuro della più importante controllata del gruppo diventa incerto? Non va dimenticato che a nostra volta abbiamo degli obblighi nei confronti dei 31 mila dipendenti, dei 40 mila azionisti e dei numerosi investitori istituzionali».

Ma se Delta cambiasse idea e decidesse di essere quel partner industriale che voi chiedete, partecipereste all'eventuale nuova cordata con loro?
«Perché no? Si tratta di una compagnia di grande livello, apprezzata in tutto il mondo. Le nostre obiezioni riguardano il ruolo passivo che fino ad oggi sembra voler giocare. Lufthansa, che pure chiede garanzie sugli esuberi, ha però un progetto ampio, visto che nei suoi piani c'è l'idea di trasformare l'aeroporto di Fiumicino, che considerano un'eccellenza, nell'hub per l'Europa mediterranea. E questo è un vantaggio per il Paese».

Però chiede una ristrutturazione feroce e vuole garanzie dal governo sulla gestione comune degli esuberi, non meno di 3.500. Tra l'altro, c'è chi dubita che il commissario unico che tra breve assumerà la gestione della compagnia, pur dotato di ampi poteri possa risolvere il problema.
«Vede, se Delta avesse voluto partecipare pienamente al progetto, contribuendo a costruire un piano industriale solido, Atlantia e Fs avrebbero potuto anche fare sforzi aggiuntivi per consentire una gestione degli esuberi più soft rispetto ai 2.800 preventivati. Ora tutto è più complicato. A cominciare dai rapporti con Bruxelles che oltre al prestito di 900 milioni, ormai in gran parte bruciato, dovrà valutare il nuovo di 400 milioni. Auguriamoci che non li classifichi come aiuti di Stato».

Cerchiai, dalla tragedia del Ponte Morandi molto è accaduto, molte scelte sono state fatte. Che cosa non rifareste?
«Di fronte a una tragedia tanto grave non si può che reagire con spirito di autocritica. Prescindiamo dalle responsabilità civili e penali, qui sarà la magistratura a dare risposte. Parliamo invece della responsabilità sociale: non voglio dare cifre, sebbene abbiano un certo rilievo, ma credo che su questo fronte abbiamo agito con grande impegno, sia nel far fronte ai doverosi risarcimenti che cercando di dare soluzione a tutte le situazioni di disagio che si sono via via presentate».

Le criticità che stanno emergendo sul fronte dei controlli e della manutenzione della rete confermano che la terziarizzazione è la via maestra per evitare altre tragedie. Negli ultimi mesi avete addirittura preceduto l'obbligo imposto dal governo, affidando a terzi il compito di verificare la sicurezza di ponti e viadotti. Perché non l'avete fatto prima?
«Si riteneva adeguata la prassi sempre adottata. Dopo la tragedia del Morandi, tutto è cambiato. È stato attivato un piano straordinario di controlli affidato a società terze. E oggi abbiamo attivato affidamenti per investimenti in manutenzioni e altri interventi sulla rete per ulteriori 500 milioni, con accordi quadro da attivare nei prossimi due anni in largo anticipo sul piano di marcia, in attuazione di un impegno preso con la ministra De Micheli».

Però non sempre si è trattato di prassi standard, visto che dalle intercettazioni tra i responsabili dei controlli sono emersi episodi assai poco commendevoli.
«Vero. Definirli poco commendevoli è un eufemismo. Appena appreso di quei comportamenti non abbiamo atteso il giudizio dei tribunali, ma abbiamo applicato il codice etico interno licenziando le persone più direttamente coinvolte».

Un'ultima domanda. A proposito di caducazione o di revisione delle concessioni autostradali, a che punto è il tavolo con il ministero?
«Abbiamo avuto numerose interlocuzioni.

Siamo in attesa di capire le intenzioni del governo. Per parte nostra, siamo disponibili a condividere soluzioni nell'interesse degli italiani: abbiamo già offerto al governo le nostre riflessioni in merito».

© RIPRODUZIONE RISERVATA