In giro ancora 2550 miliardi di lire
Effetto nostalgia, ma anche fondi neri

Una banconota da diecimila lire
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Mercoledì 14 Luglio 2010, 17:14 - Ultimo aggiornamento: 12 Agosto, 23:24
ROMA (14 luglio) - Pensare di tornare alla cara, vecchia lira pura utopia, sostengono gli economisti, un sogno che rester tale. Nonostante la situazione della bilancia dei pagamenti nazionale non manifesti il passivo degli anni del serpente monetario, l’appartenenza ad un sistema monetario integrato, quello dell’area euro, tiene al riparo da crisi valutarie, come quella, del 1992, che colpì l’Italia. E allora gli italiani, popolo cronicamente malato di nostalgia, se non possono avere più il privilegio di possedere ed utilizzare una propria divisa nazionale, così come la Svizzera fa con il franco, le lire rimaste in circolazione se le tengono in cornice, in una busta, fra le pagine di un libro.



Analizzando i dati della Banca d’Italia, la quale, dopo l’introduzione dell’euro, ha perso la funzione di emissione, delegata alla Banca Centrale Europea, emerge un fenomeno curioso. Al 31 maggio 2010, risultano non rientrati quasi 310 milioni di pezzi dell’ultima serie in circolazione prima dell’avvento della moneta unica, quelli che possono essere ancora cambiati. Si tratta di denaro, di fatto ancora circolante, per il rispettabile valore di 2.557 miliardi di lire, ossia quasi 1,3 miliardi di euro.



Dopo una prima fase di corsa al cambio, durata dal 28 dicembre 2001 al 31 dicembre 2002, nella quale il valore complessivo dei biglietti cartacei in lire, ancora circolanti, è passato da oltre 126mila miliardi di lire, a 4.216 miliardi, il processo di rientro ha subìto una brusca frenata, tanto che, è ormai pressoché certo che si concretizzi un’eventualità assolutamente non prevista. Dal momento che, anche dal 2009 al 2010 è rientrato soltanto un minimo quantitativo di vecchi biglietti, alla data del 29 febbraio 2012, termine ultimo per l’accettazione per il cambio in euro della tramontata moneta nazionale, centinaia di migliaia di banconote resteranno fuori dal controllo della Banca d’Italia, e saranno dunque sottratte alla distruzione (i biglietti, infatti, dopo la consegna agli sportelli, sono triturati nello stabilimento sulla Tuscolana, a Roma).



L’euro entrò ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2002, e dopo un breve periodo in cui è stata consentita la doppia circolazione (dal 1° gennaio al 1° marzo 2002), è partita una lunga fase transitoria, che avrà termine alla fine di febbraio del 2012, durante la quale, qualora si possedessero vecchie banconote o monete in lire, purché non prescritte, ci si può recare presso le filiali della Banca d’Italia per chiedere la conversione. Tuttavia, come dimostrano i dati di Bankitalia, l’effetto-nostalgia ha prevalso. Gli italiani si tengono ben stretta una moneta che fa parte del loro Dna. Nel dettaglio, rimangono vacanti 197 milioni di biglietti da mille “Montessori”, 21,5 milioni di 2.000 “Marconi”, 30,7 milioni di 5mila “Bellini”, 7,4 milioni di 50mila “Bernini”, 12,4 milioni di 100mila “Caravaggio”, e 288mila pezzi del taglio da 500mila lire “Raffaello”. E lasciamo stare le monete metalliche, delle quali la Banca d’Italia non tiene neppure il conto, dato che non possiedono i numeri di serie.



Guido Crapanzano, consulente numismatico della Banca d’Italia, è convinto che, «accanto all’indiscutibile fenomeno del collezionismo di una moneta legata alla storia dell’Italia, nel contingente non rientrato all’istituto centrale potrebbe figurare anche una parte legata a fondi neri conservati in liquidità all’estero e mai più rientrati, a causa della necessità di dichiarare agli sportelli le proprie generalità quando s’intende trasformare quantità d’importo corrispondente superiore a 1.550 euro». Oltretutto, c’è da dire nei Paesi europei che hanno adottato l’euro, le scadenze per la conversione delle vecchie divise non sono le stesse. In alcuni Stati, come Austria, Belgio, Germania, Irlanda ed alcuni altri, non è stato previsto alcun termine temporale, mentre gli olandesi hanno tempo, per cambiare le antiche banconote in fiorini, fino al 1° gennaio 2032.



Umberto Moruzzi, studioso di cartamoneta e titolare di uno dei più avviati negozi di numismatica in Italia, a Roma, in una suggestiva zona limitrofa a Cinecittà, racconta di un «diffuso e crescente interesse, spesso amatoriale, nella collezione di vecchie lire, soprattutto di epoca repubblicana». Una vera e propria “lira-mania”, dunque. Perché, la nostalgia per una valuta che non tornerà mai più, si unisce con quella speciale proprietà di banconote e monete di evocare momenti piccoli e grandi della biografia di ognuno di noi. Delle vere e proprie madeleine in stile proustiano, che evocano anche i bei tempi, quando anche con quelle monete spicciole che oggi valgono soltanto qualche centesimo di euro si poteva acquistare qualcosa.



Nel 1977, l’anno di John Travolta e della febbre del sabato sera, mentre Bologna era messa a soqquadro dagli scontri tra polizia e studenti, e s’inaspriva una guerra tra le unità anti-terrorismo e le Brigate Rosse che lasciava bossoli e sangue nelle città italiane, Claudio Baglioni, lanciava una canzone, “Duecento lire di castagne”. Il testo parlava di una ragazza lontana «dalle sue colline» e costretta a confrontarsi con lo squallore della vita urbana e della fabbrica, «ciminiere, sirene, cancelli e capannoni bagnati di umidità». A rincuorarla c’era solo quel cartoccio di castagne consumate nell’intervallo, «sopra il cavalcavia, sola e senza compagnia».



All’epoca, per una moneta da 200 lire, quelle 200 lire fatte di un metallo chiamato bronzital, un composto di bronzo, rame e alluminio, che raffiguravano, su un verso, una ruota dentata, e sull’altro una testa muliebre, un caldarrostaio offriva un sacchetto di castagne, ma, in alternativa, si potevano acquistare venti caramelle o consumare due espressi al bar. Nei portamonete si conservavano anche le 5 lire con il delfino e le 10 con le spighe di frumento coniate con l’Italma, acronimo di “Italiano alluminio magnesio”, sempre buone da mettere nei distributori di palline colorate di bubble-gum per la gioia dei bambini, immancabili negli ingressi di ogni negozio e tavola calda. Con le 50 lire in acmonital (“Acciaio monetario italiano”, un mix di ferro, nichel, cromo e vanadio), che raffiguravano, nella versione più comune, circolante dal 1954, il dio Vulcano, nudo e di spalle, nell’atto di battere il martello sull’incudine, si poteva acquistare un ghiacciolo. Mentre con le 100 lire, sempre in acmonital, con il dio Minerva nel diritto della moneta, ti aggiudicavi un cono gelato con doppia pallina.

In quel periodo circolavano anche i miniassegni, introdotti nel dicembre 1975 (il primo ad emetterli fu l’istituto San Paolo di Torino) e circolati fino al 1978, per sopperire alla grave carenza di monete metalliche a causa di una disfuzione dei macchinari della Zecca di Stato e non, come comunemente si crede, per la corsa all’approvvigionamento da parte delle aziende svizzere e giapponesi per costruire le casse degli orologi digitali.



Nel 1977, mentre le Br sequestravano, a Genova, l’armatore Pietro Costa, ricavandone un riscatto di un miliardo e mezzo di lire, e in Rai apparivano le prime puntate di un telefilm di straordinario successo, “Happy Days”, un restyling della Banca d’Italia sostituì il biglietto da 100mila lire con Alessandro Manzoni con quello con il volto della “Primavera” di Botticelli e il 50mila con Leonardo Da Vinci con uno nuovo, raffigurante il busto di una giovane donna. Anche il celebre 10mila lire marrone e vinaccia con Michelangelo Buonarroti fu messo in soffitta, così come il 5mila verde con Cristoforo Colombo e le caravelle e il 500 color nespola con la testa di Aretusa, l’aquila che ghermisce il serpente di Akragas e i quattro delfini che saltano sulle onde. Sopravvissero soltanto pochi tagli del passato, come le 1.000 Giuseppe Verdi grigio-violette e le 20mila “Tiziano”. Ma in questo anno denso di eventi drammatici e di cambiamenti, se qualcuno avesse detto agli italiani che un giorno del futuro, il 1° marzo 2002, avrebbero dovuto dire addio alla lira, l’affermazione sarebbe stata trattata come una boutade fantascientifica.



E, invece, con l’introduzione dell’euro, quel momento è arrivato, così come è giunta l’era dei telefoni cellulari e dei computer ad altissima velocità. Insieme al rimpianto per gli anni, pur funestati da una violenza che portò l’Italia sull’orlo della guerra civile, in cui si parlava di scala mobile e di svalutazione, gli italiani, memori di un maggior potere d’acquisto del denaro e defraudati da una nuova moneta che li ha lasciati in bolletta, non possono far altro che attaccarsi ad un feticcio. Ma quella lira era anche un oggetto artistico, dato che, le invenzioni di maestri incisori come Trento Cionini, autore del rovescio del 100mila “Manzoni” e del diritto del 500mila “Raffaello”, hanno condotto la cartamoneta italiana nel parnaso delle più affascinanti creazioni mondiali in questo settore.



Un aspetto da non tralasciare, inoltre, è quello del valore numismatico di questi biglietti. Un 100mila “Manzoni” del 1970, in fior di stampa, ossia perfettamente conservato, vale oggi 2.200 euro. Mentre un 500mila “Raffaello”, apparso per la prima volta nel 1997, ha un valore di 370 euro, ben superiore quindi, agli 258 euro e 22 centesimi garantiti dalla Banca d’Italia.


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