Voluntary disclosure: l'alternativa già esiste

Voluntary disclosure: l'alternativa già esiste
di Stefano Loconte*
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Lunedì 25 Agosto 2014, 16:06 - Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 09:03
La disciplina specifica sulla voluntary disclosure tarda ad arrivare, ma una possibile soluzione alternativa è già presente nelle pieghe dell’ordinamento tributario italiano.



Nelle intenzioni (per ora solo intenzioni) del Legislatore, il programma di voluntary disclosure nasce, come noto, con il dichiarato intento di far rientrare in Italia tutte quelle somme che sono state trasferite all’estero (o sono lì detenute) in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale di cui al Decreto Legge numero 167 del 28 giugno 1990, convertito dalla Legge numero 227 del 4 agosto 1990.



Nonostante si parli da tempo della voluntary disclosure come di quel nuovo strumento da utilizzare per perseguire i fini anzidetti, in realtà si potrebbe sostenere che già esistono nel nostro ordinamento delle norme che presentando meccanismi di riduzione delle sanzioni tributarie permetterebbero ai contribuenti, in determinate circostanze, di giungere ad una definizione agevolata delle sanzioni altrimenti applicabili in caso di violazioni delle norme sul monitoraggio fiscale.



La leva, su cui fondare questa disclosure irrituale, è fornita dal Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997 ed in particolare all’articolo 7 comma 4.



Tale norma, infatti, prevede testualmente che “qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.



Continua la citata previsione normativa chiarendo che, per la determinazione della sanzione, si deve avere riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell'agente, all'opera da lui svolta per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità, desunta dai suoi precedenti fiscali, e alle condizioni economiche e sociali.



Si tratterebbe, dunque, posto che le sanzioni sul monitoraggio fiscale non sono collegate ad un tributo, ed immaginando una prima mossa da parte del contribuente, di una vera e propria autodenuncia (da effettuarsi ovviamente prima dell’avvio di qualsiasi accertamento o verifica fiscale).



Così facendo il contribuente si presenta spontaneamente all’Amministrazione finanziaria dichiarandosi disposto a riportare in Italia i capitali che ad oggi sono detenuti illegalmente all'estero e a pagare le dovute sanzioni per aver violato la normativa sul monitoraggio.



In questo caso non appare dubitabile la circostanza che questa autodenuncia integri il citato requisito di “eccezionalità” previsto dall’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997, permettendo così al contribuente di ottenere una importante riduzione delle sanzioni.



A fronte di questo comportamento evidentemente collaborativo da parte del contribuente, l’Erario potrebbe concedere la possibilità di una sanatoria con un costo, in termini di sanzioni, decisamente interessante per il contribuente. Si ricorda che le sanzioni “piene” sul monitoraggio fiscale sono applicate nella misura dal 3 al 15% degli attivi esteri non dichiarati, se tali attivi sono detenuti nei paesi cosiddetti white list, mentre per gli attivi detenuti in un paradiso fiscale le sanzioni vanno dal 6 al 30% del valore degli attivi.



Inoltre, se si dovesse giungere alla possibilità di applicare sia la riduzione del 50% prevista dall’articolo 7 del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997, sia la procedura di cui all’articolo 16, comma 3, del medesimo Decreto Legislativo si potrebbe giungere alla definizione delle violazioni sul monitoraggio con l’applicazione di sanzioni pari allo 0,50% o all’1% dell'importo annuale degli attivi detenuti illegalmente all’estero rispettivamente in un paese white list o in uno black list.



Appare evidente, però, che l’attivazione spontanea di questa procedura è consigliabile solamente a quei contribuenti che detengono attivi esteri formati negli anni non in relazione a fatti di evasione ma ad esempio perché si tratta di patrimoni ereditati in passato.



In questo modo verrebbero meno, in assenza di una normativa specifica, tutti quei rischi (assolutamente evidenti) che possono derivare dalla presentazione di una autodenuncia ed in particolar modo i rischi di natura penale (la cui sanatoria può, infatti, essere prevista solo attraverso una esplicita previsione normativa ) e quelli di natura tributaria (l’accertamento sui capitali frutto di evasione).



Stefano Loconte, Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima (BA) – Avvocato, Loconte & Partners.
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