Scaroni: «Sul gas l’Italia è al sicuro Putin ha quel che voleva»

Scaroni: «Sul gas l’Italia è al sicuro Putin ha quel che voleva»
di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 4 Settembre 2014, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 13:39
Paolo Scaroni, quanto durer la tregua annunciata ieri da Kiev e Mosca? «E’ importante che Putin e Poroshenko si siano parlati e che abbiano decretato uno stop al conflitto. Anzi, a questo punto sono meno pessimista su una soluzione della crisi non lontana».



Nel senso che finisce qui?

«Non dico questo, le tensioni per placarsi davvero hanno bisogno di tempo. Intanto c’e’ una tregua militare che ci auguriamo venga rispettata e poi a me pare che Putin possa essere quietato dei risultati ottenuti».



A quali risultati si riferisce?

«Ne vedo almeno tre. Anzitutto la Crimea, con il porto strategico di Sebastopoli, ora è inequivocabilmente sotto controllo russo. Un altro obbiettivo che Mosca perseguiva, e che mi sembra in via di raggiungimento, era la creazione di un’Ucraina federale che desse rappresentanza e dignità agli ucraini russofoni. Infine, il problema dei pagamenti del gas venduto all’Ucraina da Gazprom sarà risolto perché alla fine provvederà l’Europa».



E che cosa porterà a casa l’Europa che tanto si è spesa?

«L’adesione dell’Ucraina. Milioni di ucraini potranno vivere gli ideali di libertà e democrazia dell’Europa integrando la loro economia con quella del nostro continente. Il prezzo non sarà modesto, ma ne vale la pena».



Solo 18 mesi fa sembrava che Europa e Russia fossero sul punto di dare il via a una grande alleanza. Come si e’ arrivati a questa disastrosa escalation?

«Alla fine del 2013 il tema sul tappeto era: firmerà l’Ucraina il trattato per l’adesione all’Unione europea nonostante la forte contrarietà di Mosca? Io ero pessimista. Anzi, ero quasi certo che l’allora presidente Janukovic, malgrado gli estenuanti negoziati con Bruxelles, avrebbe alla fine preferito l’abbraccio di Mosca. Il 28 novembre a Vilnius, in quella che doveva essere la riunione finale per l’intesa, Janukovic non firmò e subito esplosero le manifestazioni contro il governo di Kiev. I manifestanti godevano dell’appoggio degli Usa e dell’opinione pubblica europea».



Che avevano entrambi il loro tornaconto. Dopo qualche mese Janukovic venne cacciato, ma quella che avrebbe potuto diventare una nuova primavera si è presto tradotta in un conflitto internazionale, politico e militare.

«Pure energetico, aggiungo io. Da anni Mosca proponeva ai governi che si sono succeduti a Kiev due opzioni: l’adesione all’unione doganale russa con sostegno finanziario immediato e un prezzo del gas di favore (260 dollari per mille metri cubi) oppure un prezzo molto più elevato (più di 400 dollari) uguale a quello che pagano gli europei se Kiev avesse aderito all’Ue. L’Ucraina, che dipende quasi interamente dal gas russo, faticava a saldare i debiti con un prezzo di 260 dollari, figuriamoci davanti a 400 dollari. Era quasi inevitabile che finisse in quel modo».



Questo fu l’inizio. Ora l’inverno si avvicina e se il braccio di ferro non cesserà sarà un brutto inverno per l’Ucraina. E poiché Gazprom ha interrotto le forniture di gas a Kiev in attesa di essere pagata, anche per i paesi europei che dipendono dalla rete ucraina non saranno giorni facili. Perché Mosca mette nei guai anche chi paga regolarmente?

«Di fronte all’emergenza (l’inverno in quelle regioni la temperatura puo’ andare a - 30) è possibile che l’Ucraina esaurisca gli stoccaggi e attinga al gas russo destinato all’Europa senza pagare. E’ già accaduto nel 2006 e nel 2009 a fronte di dispute sui pagamenti. Ebbene, per qualche settimana in quei due inverni Gazprom interruppe i flussi di gas attraverso l’Ucraina ed alcuni paesi europei restarono al gelo».



Chi sono i paesi che rischiano maggiormente se i flussi di gas attraverso l’Ucraina dovessero venire nuovamente interrotti?

«Quelli che ricevono il gas attraverso i tubi ucraini, vale a dire Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria e Austria».



E l’Italia?

«L’Italia ha molte fonti di approvvigionamento. Oltre al gas russo, che transita attraverso l’Ucraina, puo’ contare sul gas algerino, su quello libico e su quello che arriva dall’Olanda, dalla Norvegia e dai tre rigassificatori. C’è poi la produzione nazionale e i grandi stoccaggi completati quest’estate. Insomma, l’Italia dovrebbe essere in sicurezza nel prossimo inverno anche di fronte a scenari pessimisti».



Di ciò dobbiamo dire grazie alla lungimiranza dell’Eni, che lei ha guidato a lungo?

«Grazie del complimento, ma dell’Eni non voglio parlare. Lo troverei indelicato».



Torniamo all’Ucraina. Lei sostiene di non aver avuto dubbi che le cose si sarebbero complicate se Kiev si fosse avvicinata alla Ue. Perché?

«L’Ucraina è stata per secoli un cuore pulsante della Grande Russia. E per i russi il suo distacco è questione che scatena passioni e reazioni forti. Non è solo un fatto politico, si tratta di sentimenti nazionalisti molto radicati in quelle regioni. Non a caso quando Putin parla alla sua gente in difesa degli interessi russi riceve tanti applausi».



Washington, qual è il suo ruolo nella vicenda? Secondo i russi sarebbe l’America la principale ispiratrice della rivolta contro il vecchio regime di Kiev.

«Gli Stati Uniti da anni spingevano per un avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente che, tra l’altro, corrisponde al desiderio della grande maggioranza degli ucraini. Ma anche a Bruxelles si è lavorato nella stessa direzione, sebbene alcuni Stati membri vivano con preoccupazione la crescente conflittualità con Mosca visti gli interessi commerciali in gioco. Alla fine sanzioni e controsanzioni non fanno che aggravare l’economia europea che già vive un periodo difficile».



C’è chi pensa che a differenza dell’Europa gli Usa hanno poco da perdere da una situazione conflittuale con la Russia.

«Probabilmente hanno ragione, almeno nel breve termine».



Libia, Siria, Irak e Ucraina: un tempo tanto caos avrebbe generato tensioni nel prezzo del petrolio. Che cosa impedisce al barile di schizzare verso l’alto?

«Quattro ragioni. Innanzitutto gli Stati Uniti, grazie allo shale gas e allo shale oil, sono passati da importatori ad esportatori di idrocarburi. In secondo luogo il progresso tecnologico dei motori a scoppio ha ridotto di molto i consumi. Terzo, l’economia europea non va bene e consumi di petrolio e gas sono in calo. Infine, non necessariamente guerre e rivoluzioni rallentano le produzioni di petrolio. Anzi, guerre e rivoluzioni hanno bisogno di denaro. E il petrolio è denaro. Basti dire che persino il nuovo Califfato dà l’assalto ai pozzi irakeni non per distruggerli ma per appropriarsi delle produzioni».