Maria Pia e le cento donne di professione pastore «Abbiamo scelto la libertà»

Maria Pia e le cento donne di professione pastore «Abbiamo scelto la libertà»
di Valentina Venturi
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Domenica 9 Maggio 2021, 15:49

«Era l'ideale di vita che avevo da ragazzina, adesso che ci sono dentro mi accorgo che è molto di più. Non si fa, una donna non lo fa, erano tutti uomini e a 14 anni non vai a metterti dietro a un gregge. Sono andata a lavorare in fabbrica, ho allevato i figli e alla mia età me lo posso permettere. I figli un po' ce l'hanno che sono scappata con le pecore. A parte il reddito, come cuore è di più; è bello, nonostante tutto». Maria Pia Vercella Marchese, pastora in Piemonte, dalla fabbrica al pascolo tra le colline del Monferrato. Ha seguito il richiamo verso la natura e la libertà che sentiva sin da piccola.

Come altre donne, di diverse età ed estrazione sociale, che scelgono la vita di pastora, con sveglie all'alba, transumanza, latte da mungere e notti insonni. Lasciano il caos cittadino per immergersi nel silenzio delle vallate italiane. Aldilà del background individuale, dalle laureate ad altre con un minore livello di istruzione, da chi sale in montagna lasciando la città a chi segue le orme familiari, per tutte il bisogno è identico: immergersi e mettersi in connessione con la natura. L'ha intuito la regista Anna Kauber, che tra il 2015 e il 2017 ha realizzato In questo mondo, un documentario che indaga la specificità di genere in quella cultura pastorale, storicamente maschile e di impronta patriarcale. La paesaggista originaria di Parma ha intrapreso un viaggio in solitaria lungo più di due anni, attraversando l'Italia per 17,000 km ed effettuando un centinaio di interviste a donne di età compresa tra i 20 e i 102 anni.


Pastore come Rosina che ai depressi per guarire suggerisce di prendere in mano il forcone o come Maria Pia che con il suo pascolo vagante è stata segretamente chiamata dalla regista sacerdotessa. Le protagoniste del documentario prodotto da Solares Fondazione delle Arti, Aki film e Anna Kauber si raccontano con delicatezza e spontaneità, dalle più anziane negli ospizi del cuneese che ricordano come non avessero alternative («per loro la pastorizia non era una scelta, ma un destino»), alle giovani che l'hanno scelto per un bisogno personale, dopo aver sconfitto la ritrosia dei familiari, se non addirittura quella di un'intera comunità («accade al Sud, dove la pastora è considerata un elemento inconsueto»).

Secondo la regista, «i pastori verso le colleghe femmine hanno sempre un po' di supponenza, eppure sono quest'ultime a dare tutte se stesse per gli animali.

I lavoratori che ho intercettato affermano che se un agnellino non riesce a prendere il latte, lo aiutano per due giorni ma poi lo lasciano al suo destino. La pastora invece fa di tutto per nutrirlo e tenerlo in vita, aldilà del numero di pecore da accudire o del vantaggio economico. La via femminile ha sempre qualcosa a che fare con la riproduzione, con la vita a prescindere dall'essere o meno madre. Non è un'attenzione prodotta dal destino, è una scelta, una comprensione empatica dei processi altrui. È arrivato il tempo di capire che la complessità dello sguardo femminile è portatrice di nuove possibilità».


Nuove opportunità che non devono né vogliono trascurare il tema dell'ambiente. «Lo sguardo maschile - aggiunge Krauber - ha creato un moto predatorio verso le risorse, mentre per la donna è inconcepibile lo spreco. La finalizzazione femminile è concreta e se un tempo si chiamava economia domestica, ora è il riutilizzo. La pastorizia cura la montagna, la rinforza e fornisce dei benefici unici all'ecosistema; per esempio le pastore vanno al pascolo e intanto raccolgono frutti spontanei con cui faranno marmellate. Quello femminile è un modello che guarda alle tradizioni del passato proiettandole nel futuro per sé e per i figli, al di là che li abbiano o meno generati. La pastorizia al femminile è la voce che può contribuire ad una comprensione universale dell'ambiente».
 

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