Anna Torretta, storia di una guida alpina donna: «All'inizio ero discriminata dagli uomini, ma ho la testa dura. La montagna insegna l'autostima»

Anna Torretta, storia di una guida alpina donna: «All'inizio ero discrimata dagli uomini, ma ho la testa dura. La montagna insegna l'autostima»
di Stefano Ardito
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Sabato 17 Giugno 2023, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 14:43

Nell'immaginario di chi vive in città, e non pratica la montagna, il mestiere di guida alpina si declina solamente al maschile. Per praticarlo servono i pantaloni alla zuava, ed è consigliata la barba. Non è così, e lo dimostra la storia di Anna Torretta, 52 anni, nata a Torino e residente a Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco. Anna ha scoperto la montagna da bambina, ha praticato per anni l'arrampicata sportiva e l'alpinismo, si è laureata in architettura. Quando ha scelto di trasformare la sua passione in un lavoro si è scontrata con i suoi genitori, e poi con i colleghi uomini, che l'hanno accettata con difficoltà. Nel suo ultimo libro, "Dal tetto di casa vedo il mondo", racconta un'avventura speciale, vissuta due anni fa, insieme alle figlie Petra e Lidie.

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Quante sono in tutto le donne tra le guide alpine italiane?
«Siamo 28 su un totale di circa 1200. Pochissime, me ne rendo conto. Nel resto d'Europa non va meglio, aumentano un po' i numeri, perché ci sono più guide. Ma anche in Francia, in Svizzera e in Austria la percentuale si aggira sul 2% del totale».


Come mai? La montagna è un mondo sempre più al femminile, si incontrano sempre più donne sui sentieri, nell'arrampicata sportiva, sulle vette, perfino nelle spedizioni all'Everest.
«Per diventare guida alpina occorre una grande esperienza, che si matura negli anni. La crescita c'è, ma arriva molto in ritardo».


Lei come ha scoperto la montagna?
«Nel modo più classico. Anni di camminate sui sentieri del Piemonte con i miei genitori, qualche ghiacciaio facile in cordata. Poi ho progredito da sola, sono diventata istruttore del CAI. Ma quando parlavo di lavorare come guida mio padre diceva "prima la laurea", e la discussione finiva lì».


Ha frequentato il corso per diventare guida in Piemonte?
«No, a Innsbruck, in Tirolo, dov'ero andata per lavorare come architetto. L'ho finito in Valle d'Aosta. L'iter per ottenere il brevetto è lunghissimo e difficile».


Come donna è stata discriminata?
«Sì, soprattutto qui a Courmayeur, dove sono stata la prima donna ammessa nella Società delle Guide. Ma ho la testa dura, ce l'ho fatta».


Le sono mai capitati dei clienti che avevano paura di affidare la propria vita a una donna?
«Molto raramente. Ricordo la battuta di un cliente tedesco, "ho provato di tutto, ci mancava anche questa". Poi siamo diventati amici».


In "Dalla mia casa vedo il mondo", pubblicato nello scorso marzo da Corbaccio, lei racconta un'avventura vissuta durante il lockdown con le sue figlie.
«Sì, due anni fa, quando eravamo bloccate in casa dal Covid. Ho inventato una "spedizione" dal pianterreno fino al tetto, passando legate in cordata per le scale e i balconi, dentro e fuori casa, dormendo in tenda nel salotto e in giardino. Mio marito ha fatto il "cuoco-Sherpa" e ci portava da mangiare».

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È stato solo un gioco?
«È nato come un gioco, per passare il tempo, sdrammatizzare e stare insieme. Ma ha creato una grande complicità con Petra e Lidie, che allora avevano 9 e 5 anni. Lo abbiamo rifatto qualche giorno fa, salendo al tramonto il Pico de Teide, 3715 metri, la cima più alta delle Canarie e della Spagna, e poi scendendo di notte con le pile frontali».
Avere due figlie piccole è un problema per tutte le madri che lavorano. Per una che fa la guida alpina lo è di più?
«Certo. Quando le aspettavo ho lavorato con la roccia e lo scialpinismo fino a poche settimane dal parto. Ho ripreso prima possibile, ma tornare a un buon livello è stato lungo e difficile. Credo che questo respinga molte donne che vorrebbero diventare guide».


Lei lavora soprattutto nei weekend e in estate, quando anche i bambini sono in vacanza. Lei come fa?
«È dura, anche in una terra ricca e ben organizzata come la Valle d'Aosta. Per anni in estate mi sono fatta aiutare da ragazze alla pari. Per fortuna Courmayeur e la sua valle sono a misura di bambino».


Ha paura che un incidente in montagna la possa allontanare dalle figlie?
«Sì, da quando ci sono loro ho abbassato la mia soglia di rischio, faccio solo ascensioni sicure. Dopo il 15 luglio l'alta montagna e i ghiacciai diventano troppo pericolosi, e io mi limito a scalare su roccia».


Lei promuove da anni l'alpinismo femminile organizzando corsi, raduni e altre attività.
«Sì, partecipo alla community Donne di Montagna, organizzo i Women's Climbing Days e numerosi altri eventi. Mi piacciono la solidarietà e l'amicizia che si creano in queste occasioni. Ma c'è anche una realtà evidente: sia le esperte sia le principianti imparano meglio da un'altra donna. C'è complicità, ed è fondamentale».


I corsi organizzati dalle donne per altre donne possono servire solamente in montagna?
«Certamente no. Le donne spesso si sottovalutano, e vanno prese per mano per insegnare loro che ce la possono fare. L'alpinismo è una meravigliosa palestra di autostima. Una scuola per imparare a credere in sé stesse, e a vivere la vita di tutti giorni con maggiore fiducia».

 

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