Il Ratto di Europa, il mosaico rapito: venduto a Hitler, ora è in Germania

Il Ratto di Europa, il mosaico rapito: venduto a Hitler, ora è in Germania
di Fabio Isman
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Mercoledì 12 Dicembre 2012, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 11:02
ROMA - Un importante mosaico romano di un metro per lato, scavato nel 1676, fuggito da Roma nel 1941, e non pi tornato: Hitler l’aveva voluto per il suo museo di Linz, mai nato; ed è rimasto in Germania. La scena principale è il Rapimento di Europa. E’ stato trovato a Praeneste, Palestrina, ed eternato da incisioni successive. Dal 1691, era esposto a Palazzo Barberini; nel 1934, va a Villa Giulia: il Circolo Ufficiali era entrato nel Palazzo, e per far posto alle sue cucine andava spostato.



L’antiquario Sangiorgi lo vende nel 1941; cancellato nel 1934 il fidecommisso che teneva unita la collezione Barberini (lo Stato s’accontenta di appena 16 quadri), ne aliena varie opere: di Hieronymus Bosch, anche L’incoronazione di spine, ormai a Londra, National Gallery. Lo manda all’architetto Reger per l’Ecc. Adolfo Hitler, a Monaco di Baviera, via Brennero. Dal 1938 Reger riceveva in Arcistrasse le opere per il Führer, destinate al museo di Linz: incarico speciale con a capo il direttore del museo di Dresda Hans Posse e l’architetto Roderich Fick.



Dal 1968, il mosaico è al Landsmuseum di Oldenburg, nella Bassa Sassonia, 160 mila abitanti; e la Germania non ce lo restituirà mai. E’ stato venduto dai Barberini, che (come vedremo) potevano farlo, per 150 mila lire: oggi sarebbero cento milioni di euro, un prezzo adeguato; e ha lasciato il Paese con licenza d’esportazione. Quanto la vendita fosse dovuta, una richiesta che non si poteva rifiutare visti i tempi (Hitler era venuto a Roma solo tre anni prima), è un discorso del tutto diverso.



LA STORIA

Grazie a documenti italiani e tedeschi, abbiamo ricostruito la storia del mosaico. E’ stato scavato «dai propilei della città, nella parte bassa», spiega Sandra Gatti, che dirige il museo di Palestrina e l’Ufficio esportazione di Roma. Lo studio di una francese lo situa in quelli del tempio della Fortuna, «ma è un errore». Quadrato, lato di 84 centimetri; antichi testi ne assegnano la scoperta a Stefano Fantoni Castruccio, che lo consegna al cardinale Carlo Barberini: con i fratelli Maffeo e Urbano, abitava il Palazzo alle Quattro Fontane. «A pianterreno, quarta stanza a destra dell’anticamera», dice un inventario del 1704, era esposto il mosaico, con il Rapimento e «diverse figure e paesaggi marini». Sulla parte superiore, con lo sfondo di un’isola montagnosa, sono cinque donne in uno svolazzare di pepli, compagne di giochi della principessa fenicia rapita, figlia di re Agenore: una coreografica scena di balletto. La scena deriva dalle Metamorfosi di Ovidio, che la racconta.



Da una cronistoria tedesca, sappiamo di un restauro, prima del Novecento: chi lo esegue, vi aggiunge «un autoritratto, con in testa un berretto», e inserisce il mosaico in una cornice «con lo stemma della famiglia tra foglie d’alloro». S’ignora invece come da Villa Giulia finisca all’antiquario Sangiorgi che, il 27 giugno 1941, lo fa spedire dalla Ditta Tartaglia, dichiarando un valore (centomila lire) inferiore a quanto è costato.

La licenza d’esportazione è firmata dal funzionario Romolo Artioli: la convenzione che annullava il fidecommisso offriva ai Barberini la facoltà di disporre di buona parte della collezione. Il mosaico arriva a Monaco: alla Braunas Haus, destinato a Hitler. A guerra finita, gli alleati lo pongono in un check-point, con altri reperti per il Führer, celati in un’ex miniera di sale. E’ consegnato poi al ministero delle Finanze, «non essendosi rintracciato alcun precedente proprietario».



Segue un periodo di buio. Alla fine del 1964, una speciale commissione decide che fare di questo e altri beni senza un passato, giunti in Germania con il nazismo. E nel 1968, le Finanze lo concedono, prestito gratuito senza scadenza, al museo di Oldenburg, dove si trova. L’ambasciata tedesca di Roma sottolinea la regolarità della cessione; come Sybille Ebert-Schifferer, storica d’arte che dirige la Biblioteca Hertziana: «Pagato e comperato sul mercato; esportato con regolare licenza dall’Italia».
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