Nella necropoli romana di Celano il giallo delle baby regine

Nella necropoli romana di Celano il giallo delle baby regine
di Chiara Morciano
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Domenica 10 Marzo 2013, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 19:25
Erano state adagiate nella tomba ornate da raffinati gioielli in oro, e, in un caso, con indosso una parure completa e il capo cinto da un velo intessuto di perline preziose.

Un gruppo di fanciulle sepolte nella grande necropoli romana ormai quasi interamente portata alla luce a Celano (L'Aquila) ha restituito la testimonianza di un costume funerario esclusivo, diverso dal resto della comunità. Le giovinette, poco più che bambine, furono consegnate all'aldilà con pregiati materiali in oro – tra cui orecchini, anelli con castone e una collana con vaghi in pasta vitrea, oltre a bracciali in bronzo – deposti come elementi del corredo personale. Una delle sepolture, accanto ai resti dello scheletro, conteneva un reperto di grande suggestione: una laminetta d’oro arrotolata su cui era incisa una formula magica.



LE LETTERE INCISE

«Si tratta di un’attestazione non molto frequente, di cui si conoscono pochi confronti, uno dei quali a Roma» spiega la direttrice degli scavi Emanuela Ceccaroni, funzionario archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo. «Questo tipo di oggetti veniva posto di solito in una sacchetta di stoffa o altro materiale deperibile a lato dell’inumato, nel nostro caso all’altezza del fianco di un’adolescente. Sulla laminetta, che non è ancora stata srotolata, si distinguono chiaramente dei segni incisi, molto probabilmente in greco, riferibili ad una sorta di auspicio che accompagnava il defunto nel suo viaggio eterno».

Il risalto dato a sepolture femminili della fascia d’età più giovane attraverso la profusione d’oro e oggetti personali è tanto più singolare se messo a confronto con la sostanziale uniformità documentata dal resto dei corredi. Nella maggior parte delle duecentotrenta tombe che compongono la necropoli sono stati rinvenuti – indipendentemente dall’età e dal sesso – elementi piuttosto comuni nel repertorio funerario romano, come lucerne, balsamari in vetro e qualche moneta (i cosiddetti «oboli di Caronte»), che indicano una datazione compresa tra il I e il III secolo d.C., in piena età imperiale.



Le strutture funerarie, quasi tutte fosse con copertura «alla cappuccina» (costituita da grosse tegole contrapposte a doppio spiovente) erano distribuite in una lunga fascia di terreno prossima alla sponda dell’antico lago del Fucino, in località Pratovecchio.



IL RIUSO

Un altro dei caratteri peculiari della necropoli è il frequente ricorso alle riduzioni, che segnalano un riuso delle tombe nel tempo. «I sepolcri sono stati riaperti già in antico» aggiunge Ceccaroni «e i resti dei defunti inumati spostati in cassette di legno, riutilizzando la fossa varie volte. Di questa pratica è rimasta traccia nei piccoli mucchi di ossa – in alcuni casi anche cinque – trovati privi del contenitore, non conservatosi perché in materiale deperibile. Le tombe sono state poi utilizzate l’ultima volta per gli individui il cui scheletro era ancora in connessione anatomica».



Quello romano è soltanto il momento conclusivo di una frequentazione dell'area iniziata moltissimi secoli prima. Le ricerche nel sito, avviate dalla Soprintendenza un anno e mezzo fa per un intervento di archeologia preventiva nell’ambito della realizzazione di un impianto fotovoltaico, hanno dimostrato che lo sfruttamento della zona risale all’epoca preistorica. Vicino alle tombe d’età imperiale sono state trovate tre sepolture precedenti, cronologicamente isolate, datate rispettivamente all’Eneolitico (III millennio a.C.), al X e al VII secolo a.C.

La testimonianza più antica è invece rappresentata da un fossato neolitico (IV millennio a.C.) che probabilmente recingeva un insediamento di capanne, i cui resti non sono stati intercettati.



L’ESPOSIZIONE

Nei prossimi mesi saranno ultimate le operazioni di scavo, ma non sono previste sorprese. «Sia il settore romano sia la parte preistorica» conclude Ceccaroni «sono state scavate integralmente e le emergenze archeologiche recuperate. Probabilmente in prossimità della necropoli doveva sorgere un abitato, ma nell’area dove è previsto l’impianto fotovoltaico non c’è traccia di strutture consistenti che indizino la presenza di edifici. È questo uno dei motivi per i quali libereremo l’area per la realizzazione dell’opera pubblica, valorizzando nelle strutture museali i reperti provenienti dalle tombe, di cui dopo la rimozione delle tegole, dei corredi e dei resti ossei non restano che le fosse vuote».



Una selezione dei gioielli in oro provenienti dal sepolcreto è già esposta nell’ambito della mostra «Dal sole e dall’acqua. Recenti scoperte nella Marsica», allestita con cura nel bel Castello Piccolomini di Celano con i materiali rinvenuti nel territorio nel corso di interventi di archeologia preventiva e che resterà aperta al pubblico fino al prossimo primo d’Aprile.
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