Si intitola «Roy Lichtenstein: a retrospective» e sarà aperta fino al 27 maggio. Le due curatrici, Sheena Wagstaff e Iria Candela, hanno impiegato quattro anni a raccogliere i 125 lavori esposti, sia tele che sculture, schizzi e disegni su carta. La mostra segue per la maggior parte un ordine cronologico, dai primi colorati approcci tra cubismo ed espressionismo, fino alla conversione all’espressionismo astratto. I suoi lavori più noti, quelli tratti dai fumetti e dalle immagini pubblicitarie, occupano solo una stanza, seppur quella centrale.
FUMETTI E PUNTINI
Perché il periodo dei famosi puntini e delle vignette è durato in realtà solo per tre anni della carriera dell’artista. Qui i pezzi forti sono «Look Mickey», del 1961, una scena con Topolino e Paperino a pesca, e il celebre «Whaam!», del 1963, tratto dal fumetto «All american men of war», pubblicato in Usa da Dc Comics. Riproduce l’attacco di un jet che distrugge il nemico con un missile in un furore di rosso e giallo. Le scene belliche sono spesso riprese da Lichtenstein, che durante la seconda guerra mondiale faceva parte dell’esercito americano come tecnico. È proprio dal ’61 che inizia a usare il famoso puntinato Benday (una tecnica di stampa che combina due punti colorati per ottenerne un terzo di colore diverso). I puntini, insieme agli spessi contorni neri delle figure e ai colori accesi, diventano le sue cifre stilistiche.
Un’altra sala è dedicata alla serie poco conosciuta «Perfect/Imperfect», lavori astratti dove la linea, più che i punti, diventa il principale elemento strutturale. Molti visitatori saranno sorpresi di trovare anche sculture in ceramica e ottone (non acclamate dai critici), disegni su carta e dipinti su Rowlux (una pellicola particolare) e acciaio. Così come i lavori della serie «Brushstrokes», pure pennellate di colore.
Tra i capolavori più apprezzati ci sono i quattro monumentali dipinti dello studio dell’artista, riuniti qui per la prima volta dal 1974.
PIXEL CINESI
Alcune opere non traggono ispirazione dalla cultura popolare ma dagli antichi maestri. Lichtenstein riproduce con la sua estetica capolavori di Monet, Matisse, Van Gogh e Picasso. E in un’altra serie, «Chinese landscapes», omaggia persino i tradizionali pittori cinesi tratteggiando paesaggi con i suoi pixel.
LA MUSA
Nessuno sapeva, fino a oggi, che Wexler fosse la sua musa. Lei racconta: «Era il 1993 e lui mi chiese: “Cosa dovrei fare adesso?”. Io risposi: “Gli artisti della tua età non cominciano a fare nudi, come Degas e Renoir?”. E così è stato. Nel suo primo trittico c’è una donna svestita buttata sul letto. Ero io. Spesso giravo nuda per casa». Il nome del quadro a cui si riferisce è «Large interior with three reflections». Wexler sostiene che prima di conoscerla il maestro del pixel dipingesse solo ragazze angosciate. Successivamente, come nel trittico, le donne sono più serene. A lei ispirati sono anche «Nude with yellow flower» e «Nudes with beach ball», che fa parte della mostra londinese.
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