Arte, alla Triennale di Milano torna il Kitsch
Gillo Dorfles raccoglie Dalì, Savinio e Baj

La Leda Atomica di Dalì
di Silvia Pegoraro
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 8 Agosto 2012, 10:30 - Ultimo aggiornamento: 9 Agosto, 17:11
MILANO - Fra gli oggetti che popolano la nostra esperienza quotidiana, molti sono gli oggetti kitsch, gli eredi di quelle buone cose di pessimo gusto che l’alba del novecento illuminava in un salotto gozzaniano… In un piccolo saggio del 1933, Hermann Broch individuava nel kitsch uno dei fenomeni socio-culturali più pervasivi e perniciosi della contemporaneità: esso consisterebbe, in sostanza, nel ridurre l’arte a effimero soddisfacimento sensibile-emozionale del pubblico, confondendo categorie estetiche ed etiche e trasformando la vita umana in «un’opera d’arte nevrotica, che imprigiona la realtà in un falso schema». Questa ipoteca negativa ha avuto lunga eco: lo testimonia, fra l’altro, la celebre antologia curata da Gillo Dorfles nel ’68 - intitolata emblematicamente “Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto” - con l’intento di compilare «una sorta di catalogo ragionato del cattivo gusto imperante».



Dagli anni Sessanta a oggi, la presenza del kitsch nell’arte si è così esponenzialmente ampliata che appare ormai semplicistico liquidarlo come espressione del cattivo gusto: occorre piuttosto analizzarlo come categoria estetica indipendente. E’ quanto ha fatto ancora Gillo Dorfles, con l’ammirevole sagacia dei suoi 102 anni compiuti ad aprile, nella mostra curata presso la Triennale di Milano (in collaborazione con Aldo Colonetti, Franco Origoni, Luigi Sansone e Anna Steiner): “Kitsch – oggi il Kitsch” (fino al 2 settembre, catalogo Editrice Compositori), che analizza origini e attuali sviluppi del kitsch nell’arte contemporanea. Dal fantasmagorico tappeto interattivo fatto di 5000 immagini che si animano al passaggio del visitatore, ai velluti e paillettes delle sedie-sculture di Carla Tolomeo, ai collages policromi di Felipe Cardeña, ai teschi e alle bacheche colme di unghie finte, spilloni, cornetti etc. (sorta di ironica rivisitazione kitsch dei poetici Boxes di Joseph Cornell) di Rutger van der Velde… Possiamo percepire distintamente i tratti del kitsch: gli accostamenti a effetto, la lettura facile, l’intenso ma superficiale coinvolgimento sensoriale-emotivo dello spettatore.



Ecco il carattere usa-e-getta del kitsch, l’eccitazione di emozioni che si innescano rapidamente, e altrettanto rapidamente si dissolvono. Il kitsch sollecita una ricezione intensamente fisica, che tende ad abolire la distanza tra oggetto e soggetto, e ci espone così al rischio dell’anestetizzazione e dell’inaridimento: gli stessi che possiamo osservare nel pubblico sottoposto per lunghi anni a soap-opera e reality show televisivi, che emozionano rapidamente, intensamente e programmaticamente. Oggi, gran parte dell’arte contemporanea – non solo quella più o meno consapevolmente kitsch – sfrutta proprio la sollecitazione corporea, secondo una modalità di tipo tattile-voyeuristico che tende a sostituirsi alla classica modalità visiva-contemplativa. Spesso punta sullo spettatore l’arma dello choc (così efficacemente descritta da Walter Benjamin nei suoi indimenticabili Passagen Werke), tramite l’esposizione di fisicità atroci od oscene. Pensiamo a Gina Pane, Hermann Nitsch, Orlan, o ai più attuali Damien Hirst e Chris Ofili. Ma il kitsch è diverso da quest’arte choccante: stimola intensamente il fruitore, ma senza scosse e sconvolgimenti. D’altra parte, il fenomeno del kitsch nell’arte contemporanea induce a rimettere in discussione quell’antinomia tra avanguardia e cultura di massa data per scontata a partire dal famoso saggio di Clement Greenberg, Avant-Garde and Kitsch (1939), in cui il critico americano definiva kitsch la cultura di massa.



In realtà, gli artisti appartenenti a quasi tutti i movimenti d'avanguardia non hanno affatto disdegnato le chances offerte dalla cultura di massa (come la possibilità di moltiplicazione e riproducibilità delle opere), e hanno spesso usato il kitsch, magari plasmandolo con lo strumento duttile e acuminato dell’ironia, in grado di riscattarlo dallo sviluppo in senso deteriore del nesso tra arte e vita formulato già dal Romanticismo. Ne sono un esempio i lavori di alcuni artisti in mostra: l’atomico Salvador Dalí, o Luigi Ontani, fantastico narcisista manipolatore di un kitsch multietnico, o ancora Enrico Baj, con l’inattaccabile lucidità critica dei suoi assemblages provocatoriamente decorativi. La presenza del geniale satyricon mitologico di Alberto Savinio ci evoca anche la figura, qui assente, del fratello maggiore, la cui opera costituisce certo il più geniale connubio di avanguardia e kitsch di tutto il Novecento: dai suoi biscotti e manichini metafisici ai suoi autoritratti in costume, dai grandi nudi rubensiani ai cavalli e cavalieri fra rovine, alle vedute di Venezia, Giorgio de Chirico ha condotto una vera sfida, con l'arma del kitsch, a un certo conformismo modernista, conservando sino alla fine un inimitabile gusto del paradosso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA