JFK, 50 anni e 40 mila libri: l’America si appresta a ricordare l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy

JFK, 50 anni e 40 mila libri: l’America si appresta a ricordare l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy
di Anna Guaita
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Domenica 10 Novembre 2013, 18:06 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 11:18
Prima dell'attacco alle Torri Gemelle del settembre 2001, il fatto demarcante della storia americana moderna, quello che segnava un "prima" e un "poi" nella coscienza del Paese, era stata l'uccisione di John Fitzgerald Kennedy.

Quel sangue versato a Dallas il 22 novembre del 1963 fece piangere un'intera Nazione e segnò la fine di un'epoca innocente e fiduciosa.



Ora che sono passati cinquant'anni, altre generazioni sono nate e cresciute senza aver condiviso quei giorni strazianti. Ma il Paese si appresta a commemorare l'anniversario con una tale messe di iniziative, che anche chi è nato decenni dopo riuscirà a ricostruire i sentimenti di incredulità, dolore e smarrimento che i telegiornali dell'epoca ci restituiscono, stampati sui volti di milioni di americani.

Sappiamo dallo storico Michael Benschloss che la sera del 22 novembre Kennedy avrebbe pronunciato parole che suonerebbero attuali ancor oggi: «Il nostro dovere non è solo la conservazione del potere politico, ma la protezione della pace e della libertà. Non litighiamo fra di noi, ma uniamoci con rinnovata fiducia, decisi che questo nostro Paese che amiamo continui a guidare l'umanità verso nuove frontiere di pace e abbondanza».



L’AGENTE DELLA SCORTA

Alcuni poderosi libri si aggiungono agli oltre 40 mila scritti su di lui in questi 50 anni, e propongono nuove interpretazioni della figura del presidente. Larry Sabato, ad esempio, in "The Kennedy Half Century" spiega come sia stato l'assassinio a plasmare l'immagine di Kennedy nella memoria e nella coscienza del Paese. Robert Dallek torna a visitare la vita alla "Camelot's Court", nella Casa Bianca di John e Jackie. Clint Hill, l'agente della scorta presidenziale che balzò sul retro dell'auto subito dopo il primo sparo, ricostruisce in "Five Days in November" l'infausto viaggio in Texas e i giorni immediatamente seguenti, con un'immagine mai conosciuta prima: Jackie che chiama Hill nel mezzo della notte per farsi accompagnare a pregare sulla tomba del marito al cimitero di Arlington, con il silenzio e il buio che l'avvolgono come un manto di dolore. Hill, che presenterà il suo libro a Washington al Cafè Milano, ha un ruolo importante anche in uno dei numerosi documentari che stanno arrivando sugli schermi, quel "The Final Hours" in cui scopriamo che Lee Harvey Oswald prese un tassì per andare al deposito dei libri da cui avrebbe sparato su Kennedy, e al tassista che gli chiedeva cosa nascondesse in quel pacco stretto e lungo disse: «Stecche per una tendina». Ma a farla da leone sarà il documentario di quattro ore in due parti, "American Experience", che percorre la vita di Kennedy sin dalla gioventù, incluso il lungo corteggiamento di Jackie, per arrivare agli anni della presidenza, quando JFK non solo riusciva a intrattenere numerosi rapporti sessuali grazie a un pool di giornalisti che fingeva di non vedere, ma ingollava una quantità di medicinali degni di Michael Jackson. Il mal di schiena - conseguenza di una ferita di guerra - lo martoriava e solo sette iniezioni di novocaina al giorno gli rendevano possibile muoversi.



IL TERZO SPARO

Un ruolo importante hanno i documentari che tentano di spiegare o giustificare alcune delle teorie complottiste. Il più serio è "The Smoking Gun", che studia la teoria che il terzo sparo provenne dalla pistola di uno degli agenti di scorta. Ma di sicuro il più provocatorio politicamente, narrato da Morgan Freeman, è "A President Betrayed", che analizza come Kennedy dovette difendere le proprie convinzioni pacifiste contro una Washington popolata da falchi che volevano sganciare la bomba atomica contro gli odiati sovietici. Il più attuale e intrigante, narrato da George Clooney, è invece "1 pm Central Standard Time" che ripercorre il frenetico lavoro dei media per ricostruire cosa fosse successo a Dealey Plaza e poi all'ospedale Parkland, fino al momento fatale in cui Walter Cronkite, l'amato e rispettato anchor della Cbs, confermò alla Nazione: «Il presidente è morto».
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