La cappella Sistina compie 500 anni, l'ultimo pericolo? I troppi visitatori

La cappella Sistina compie 500 anni, l'ultimo pericolo? I troppi visitatori
di Fabio Isman
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Martedì 16 Ottobre 2012, 16:08 - Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 13:42
ROMA - LA sera del 31 ottobre 1512, ai Vespri della vigilia di Ognissanti, Giulio II della Rovere, ormai un vecchio Papa guerriero che il suo diarista quotidiano Paris De Grassis descrive lassus, spossato, con «17 cardinali in cappa festiva» svela la Volta della cappella Sistina; la mattina dopo, torna a cantarvi messa e a mostrarla (Vasari) «con satisfatione di tutta la città». Antonio Paolucci, già soprintendente e ministro, direttore dei Musei Vaticani, mezzo millennio dopo parla dell’anniversario.



Paolucci che cosa significano quei mille metri quadrati di pittura per uno studioso?

«Potrei rispondere con le parole di tanti storici d’arte, a cominciare da Heinrich Wölfflin a fine Ottocento: sono come un torrente montano, che irrompe con forza rapinosa nella storia dell’arte europea. Nulla sarà più come prima. Cambia radicalmente la visione del mondo figurativo».



Un miracolo che si avverte subito, immediatamente?

«Il primo a capirlo è Raffaello, il più grande pittore del precedente periodo. Aveva 26 anni; per tre lavora nelle Stanze, accanto a dove operava Michelangelo. A Ferragosto 1510, quando il Buonarroti era provvisoriamente tornato a Firenze e la Volta compiuta per metà, va a vedere. Lascia, di quella visita, grandi impronte: un paio di disegni; rifà l’affresco del Profeta Isaia, in Sant’Agostino a Roma; dai restauri di Dioclecio Redig De Campos si sa che ridipinge della Scuola d’Atene: nel cartone dell’Ambrosiana manca Eraclio o Michelangelo, il Pensatore solitario, che lui inserisce successivamente. Appunto dopo aver visto. Un palese omaggio ad un collega che, invece, lo odiava».



Quando lei passa lì sotto, che cosa pensa?

«All’affascinante duello con la pittura di un uomo solo, un suo sonetto lo spiega, coricato in scomoda posizione, con i colori che gli colano sulla barba. Non c’è un altro sesto grado della pittura simile nella storia dell’arte. Un uomo collerico, che esibisce questo suo difetto; è moderno: già Caravaggio, Modigliani, Van Gogh, per parlare dei miti di oggi; geniale, immaginifico, che sa amministrarsi; peccato: gli mancava soltanto la televisione, che non c’era ancora. Al contrario di Raffaello, primo imprenditore, non ha una scuola. All’unico allievo, Daniele da Volterra che narrerà le sue ultime ore, spetterà la condanna a morte di dovergli mettere i famosi braghettoni, non appena se ne è andato».



La più grande curiosità in quegli affreschi?

«Il sedere di Nostro Signore, dipinto nella Creazione del sole: quasi uno scherzaccio toscano, degno del film Amici miei, presente per l’unica volta in pittura».



E invece, per un direttore di museo, la Volta che cosa significa e che cosa comporta?

«Cinque milioni di persone all’anno che le alitano sopra; in certi giorni, 20 mila visitatori che portano polveri, vi lasciano anidride carbonica, sudore e umidità, innalzano la temperatura».



E vociano, impediscono un po’ di raccoglimento: giorni fa, se ne sdegnava Piero Citati.

«Da quando l’arte è diventata democratica, a questo non si può porre rimedio. La marmellata della gente comune non è più evitabile; l’epoca è quella dei consumi, anche quelli culturali. Ma invece, agli altri attentati si deve. In 20 anni, la popolazione della Sistina è raddoppiata. Dacché sono arrivato, è il mio problema più grande; occorre una manutenzione costante e programmata».



Sembra di ascoltare le vane richieste, decenni fa, di Giovanni Urbani. Non a caso, già il 26 ottobre 1543 Paolo III Farnese istituisce il «mundator», il primo è Francesco Amadori detto l’Urbino, che provveda alla loro salute.

«Oggi, occorre disciplinare i flussi, e non è facile. Poi, da due anni la Carrier studia come aggiornare un impianto che, nel 1995, dopo i restauri diretti da Carlo Pietrangeli e Fabrizio Mancinelli e condotti da Gianluigi Colalucci, era assolutamente all’avanguardia. Va reso più efficiente il ricambio d’aria, abbattuta la temperatura e governata maggiormente la polvere; il tutto con il vincolo che i macchinari, necessariamente esterni, non deturpino. Già, il Mundator: ho iniziato lo spolvero delle sculture nei Musei; in due anni, degli esperti completano i sette chilometri del circuito. E in Sistina, a novembre quando il flusso è minimo, per una settimana i restauratori con il loro Ragno, una gru snodata, con gli aspirapolvere e infinita cautela, provvederanno ai dipinti di Buonarroti, e non solo».



Quando sarà pronto il nuovo condizionamento e quanto costerà?

«Speravamo di finire entro quest’anno, ma non sarà così; ai finanziamenti provvede l’organizzazione americana dei Patrons della Sistina».

Già, ci sono i finanziatori americani ma non quelli italiani: non è alquanto singolare?

«Ora stanno pensando a una sottosezione nel nostro Paese, ma, storicamente, è così. Comunque, licenziato il progetto, realizzarlo sarà una faccenda abbastanza rapida».



I restauri, all’epoca scioccamente combattuti, reggono, vero?

«Assolutamente sì. Però, per rendere la cappella sempre ben visibile, stiamo provvedendo alla nuova illuminazione. La realizza Osram, che già ha compiuto miracoli alla mostra di Giovanni Bellini alle Scuderie del Quirinale; sarà pronta entro un anno. Ci sono ancora luci calde; talora si vede troppo poco, e talaltra l’illuminazione è eccessiva».



Il laboratorio di restauro vaticano è da sempre, e giustamente, famoso; quanti vi lavorano oggi?

«Novanta, tra le varie specialità. Ma stiamo restaurando anche la Galleria delle Carte Geografiche, e presto gli affreschi cinquecenteschi della Scala Santa; occupando rispettivamente 16 e una dozzina di neodiplomati. In tempi in cui trovare lavoro nel settore è molto arduo, pochi i quattrini, diminuiti gli apporti di sponsor e banche, le soprintendenze a secco, il Vaticano è anche un committente di tutto rispetto. Può fare del bene a tanti giovani».
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