L’ACQUISTO MISTERIOSO
E sarà ricostruito anche il singolare acquisto, che rimane in parte misterioso. Gentiletti viveva a via del Babuino e Passeggiata di Ripetta; si definisce antiquario, ma certi documenti lo qualificano come artista, o trattore; non si trova traccia della sua attività in alcuna fonte. Era stato capo cameriere al Gran Caffé Roma di San Carlo al Corso dal 1891 per due anni, e qui D’Annunzio gli firma due cambiali, ancora conservate; lui pagava le colazioni al poeta, e gli prestava grosse cifre, che D’Annunzio non restituirà mai. Era creditore anche di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Al Vate farà pignorare quadri di Francesco Paolo Michetti e tappeti della principessa Maria Gravina, finiti in possesso di D’Annunzio, che forse lo descrive, nella Nemica, come un usuraio. Chissà se solo con il salario e le mance, nel 1906 Gentiletti compera la trattoria Corradetti, nota come Alla Concordia in via Croce 81, che ora è Otello, nel cortile di palazzo Boncompagni Ludovisi, poi Poniatowski. E in un suo scritto per i 66 anni d’attività, si autoqualifica come un «avvelenatore mondiale»; dice: «Fatto del bene, ricevuto del male, ben mi sta».
L’IPOTESI
D’Annunzio non se la passava sempre bene, nel suo periodo romano, in cui redigeva anche note di costume su Cronaca Bizantina: nel 1891, deve sloggiare da via Gregoriana 25, proprio per l’incursione di chi doveva pignorare; sposa Maria Hardouin del Gallese, che gli darà tre figli, ma ne avrà una anche da Maria Gravina; in dieci anni, fino al 1891, scrive ad esempio Il piacere. È solo un’ipotesi: ma se quei disegni fossero stati suoi? Del resto, poco si sa anche sulla dispersione delle opere dei van Wittel italianizzati Vanvitelli: sia di Gaspare (1653 - 1736), giunto a 18 anni a Roma che mai più abbandonerà, sia del figlio Luigi, l’autore della Reggia di Caserta ed anch’egli pittore e disegnatore. Il figlio Carlo ne possedeva le due raccolte, spesso confuse, dal 1773: 96 vedute e 31 quadri di prospettive, 146 fogli di incisioni, 30 stampe di figure; i percorsi successivi restano ignoti.
Alcuni di questi disegni ora in mostra si erano già visti a Roma, una decina d’anni fa. Quasi tutti fogli quadrettati, «preparati dall’artista per essere riportati in proporzione sulla tela, o su altro supporto» (Laureati); Trinità dei Monti ancora senza il suo scalone; il Campidoglio e l’Aracoeli prima del Vittoriano e degli sventramenti; Villa Medici; i Fori, che erano ancora Campo Vaccino; il Tevere ancora senza i muraglioni; Villa Aldobrandini a Frascati e il castello Odescalchi a Palo, ma anche Porta Galliera a Bologna e la Badia Fiesolana, Venezia, San Marco e la Salute, Verona e Napoli; un ponte romano chissà se sparito o inventato, giusto per esemplificare. Sempre con mille dettagli, frutto pure della camera ottica; sempre con mille curiosità; sempre con il sapore del tempo che non c’è più. I turisti andavano pazzi, nel loro viaggio d’iniziazione alla storia ed alla cultura, per questo nuovo genere pittorico, sbocciato a Venezia, ma di cui anche Roma era divenuta una capitale.
La mostra (dal 18 aprile al 13 luglio) vanta un bel catalogo, prodotto da chi l’ha organizzata, è a cura di Maria Breccia Fratadocchi e di Paola Puglisi.
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