Susanna Tamaro torna in libreria con Ogni angelo è tremendo

Susanna Tamaro
di Piero Santonastaso
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Mercoledì 23 Gennaio 2013, 13:36 - Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 18:03
Incrociare i suoi occhi metteva paura. Se poi era lei a guardarti, ti sentivi morire. Due brevi frasi riassumono il veleno e la sofferenza di una figlia che non riesce a trovare la madre, nonostante sia sempre fisicamente presente. Una rappresentazione familiare dell’anaffettivit a senso unico che appartiene a Ogni angelo tremendo, il nuovo libro di Susanna Tamaro (Bompiani, 270 pagine, 16 euro, da oggi nelle librerie).



«Purtroppo vengo da una famiglia priva di empatia, di affetto - spiega la scrittrice cinquantacinquenne - Un ambiente gelido, terribile». Per questo suo ultimo lavoro si è parlato di romanzo di formazione ed è di gran moda il rimando a Trieste e al suo vento, l’aggancio più immediato. Mentre nel libro trovano vita, sciorinati in modi cristallini e fulminanti, tanti mondi quante sono le generazioni del Novecento, tante famiglie quante ne prevede l’Italia disunita, tanti déjà vu quante sono le teste dei baby boomers. Consigliabile come testo obbligatorio per l’asettico popolo delle scuole di scrittura creativa. Scuole cui è dedicato l’incipit di un capitolo.



Lei le elogia perché danno benefici individuali, ma subito dopo spiega che smetterebbe di scrivere qualora si accorgesse di mettere in pagina soltanto tecnica e buon senso. Perché?


«Le scuole di scrittura fanno bene agli individui, alla capacità di organizzare un’esposizione scritta. Che poi tutto si traduca in una superproduzione editoriale mi fa tornare in mente la bolla immobiliare: ce n’è una editoriale che prima o poi esploderà. Imparare a scrivere è più o meno come imparare a giocare a tennis. Nulla di male, se non scatta il momento perverso: ”domino la materia, posso tradurla in bestseller”. Perché la letteratura è vista ormai come una strada verso la ricchezza».



Colpisce la capacità di rimettere insieme una miriade di pezzi della sua infanzia. Tecniche mnemoniche?


«Fare lo scrittore è avere una memoria fuori del comune, mentre oggi la letteratura è superficiale. La mia è straordinaria, non solo visiva, ma analitica, classificatoria, da naturalista. Ricordo i compleanni di qualche centinaio di persone, per dire. Solo la memoria storica permette di andare in profondità. Aiuti? Non mi affiderei mai all’elettronica: appaltarle la memoria è un grande impoverimento. Salviamo i bimbi dalla tecnologia».



Perché si definisce tipica figlia del Balcani?


«È un fatto climatico: da meteorologica l’instabilità si fa mentale, l’anima slava diventa folle, alla Kusturica. Senza dimenticare la durezza di fondo».



Ha distinto le nuove generazioni di quegli anni in pre e post-conciliari. Qual è il motivo?


«Mi è venuto in mente ripensando alla mia prima comunione, un vecchio rito tutto in latino. Il nostro Gesù era diverso, quello affermatosi dopo il Vaticano II è un amico che risolve tutti i problemi».



Cos’è il cristianesimo?


«Risponde alle domande ultime: la morte, il dolore, il senso profondo della vita, il bene, il male...».

Una delle immagini ricorrenti è il ragno che tesse e tesse dopo aver inoculato il suo veleno.

«L’entomologia è la mia passione e dal mondo degli insetti ho preso un esempio di sofferenza metaforicamente valido».



Il libro abbonda di sguardi.


«Quello di mia madre era glaciale, da film dell’orrore. Il frutto di un disturbo bipolare o qualcosa del genere. Mio padre invece non vedeva, ma non perché fosse cieco: era semplicemente perso nei suoi mondi. Un bimbo ha bisogno di credere costantemente nei genitori, vorrebbe essere orgoglioso di loro, ammirarli. Altrimenti si costruisce figure e situazioni immaginarie. Cosa che sono stata costretta a fare. Se mia madre fosse rimasta con mio padre il lato oscuro non sarebbe venuto fuori. Dopo la sua morte ho parlato con le compagne di scuola: tutte mi hanno raccontato che aveva un solo desiderio, fare la mamma. Invece si ritrovò trasformata dall’oscurità».



Ha iniziato tardi a scrivere, tant’è vero che il suo successo si concentra nelle ultime due decadi. E nel libro racconta il momento della folgorazione. Come accadde?


«Ho iniziato a 34-35 anni. Accadde passando per Ponte Sisto, un posto di Roma che mi ha sempre attirato. Era in restauro, lo stavo attraversando quando avvenne una strana cosa. Era come se mi si fosse aperta una porta nella testa. Corsi in via del Pellegrino, c’era un tabaccaio d’angolo, comprai un quadernetto Pigna arancione e iniziai a scrivere».



Ha trascorso molti anni nella Capitale, cosa ricorda?


«Era la Roma terribile degli anni Settanta, quelli del terrorismo. Stavo nei pressi di ponte Garibaldi quando fu uccisa Giorgiana Masi. Però era una città viva, dove io passavo il tempo nei cineclub. Ora è in uno stato di degrado assoluto, un dolore al cuore. Non fa più parte della mia vita, è una grande sofferenza».



La stessa che prova nello scrivere?


«Ho versato tantissimo sangue. Scrivere è un grande viaggio nelle tenebre, è andare nelle parti più buie. In questo momento, pubblicato Ogni angelo è tremendo, non mi è rimasto più sangue nelle vene».



Nel libro c’è un piano, che lei vorrebbe imparare a suonare.


«Forse accadrà nella terza età... A casa ne ho uno, improvviso da autodidatta. Quando inizio un libro passo ore e giorni alla tastiera. Mi aiuta a dare voce ai personaggi».



Soffre per gli attacchi che riceve?


«Continuano a stupirmi. Sono un tipo molto socievole, non una Fallaci, con il suo caratteraccio. Forse pago il mio essere estranea ai giri di potere, il restare un po’ fuori dal mondo. Con il successo avrei potuto fare di tutto, ma sono rimasta me stessa, estranea all’establishment. Non ho mai preso premi perché sono fuori da tutto».



Una delle sue prime opere, Illmitz, è tuttora inedita. La vedremo nelle librerie?

«Temo di sì. I tempi sono maturi, non sarebbe stato capito senza questo mio ultimo libro».
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