«Ribellarsi è giusto», l'appello
ai giovani di un partigiano 95enne

Massimo Ottolenghi (foto Paolo Pegorari)
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Giovedì 2 Giugno 2011, 22:02 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 13:18
Noi non ce l'abbiamo fatta, abbiamo fallito, ora tocca a voi. Un'ammissione di colpa grave e un appello vigoroso ai giovani quelli contenuti nel libro di Massimo Ottolenghi, classe 1915, torinese, di famiglia ebrea, un simbolo della resistenza civile, in libreria da alcuni giorni. Ribellarsi è giusto (Chiarelettere, 144 pagine, 12 euro) è il «monito di un novantacinquenne alla nuove generazioni», un urlo contro «l'indifferenza di una società ipnotizzata da un'informazione monopolizzata, salvo rare eccezioni». Ne pubblichiamo un estratto.





Appello

Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, a sessantacinque anni dalla proclamazione della Repubblica, io, nato nel 1915 a Torino, di famiglia ebrea, sopravvissuto a due guerre mondiali e alle persecuzioni naziste e fasciste, invito voi che siete più giovani a ribellarvi.



Fatelo adesso, subito, prima che sia troppo tardi, con un urlo alto, fragoroso. Un urlo che faccia sobbalzare chi è al potere, che ridesti la società civile e la classe dirigente, complice del degrado, che sovrasti gli sproloqui e le risse parlamentari di ogni giorno. Un urlo che scrolli i pavidi, che scuota gli indifferenti, che sorprenda gli ignavi, i dormienti, gli abbioccati di consumismo. Un urlo forte, vibrante, che infranga le pareti di silenzi imposti e menzogne, che spezzi il sogno e l’indifferenza di una società ipnotizzata da un’in formazione monopolizzata, salvo rare eccezioni.



Un urlo che faccia tremare i servi sciocchi, gli ipocriti, i disonesti, i saltafossi, i profittatori voltagabbana annidati nei luoghi di comando, che giunga a tutti i giovani, gli «angeli dei tetti», che restituisca loro speranza per il futuro. Un urlo che ripeta le parole di chi non ha più voce, dei nostri caduti per la libertà, di chi credeva nella democrazia.



Un urlo corale che ridesti donne, uomini, ricchi e poveri, per essere cittadini anziché sudditi, soggetti anziché oggetti del potere. Un urlo che si rafforzi nell’eco ripetuta degli antichi valori, che giunga dove già una volta è rinata l’Italia.



Un urlo di riscatto, liberatorio come quello che esplose alle ore 24 della notte del 24 aprile 1945, in tutta l’Italia del Nord, al tanto atteso messaggio in codice gracchiato dalle radio clandestine: «Aldo dice 26x1». L’ordine di insurrezione generale. Allora toccava a noi.



Vorrei disporre di una voce autorevole per unirmi a voi in quell’urlo, per rafforzarlo, perché possa giungere lontano, perché la democrazia non si esaurisca. Vorrei saper trovare la parola da dirvi per colpire la parte più profonda di ciascuno e riscattare la dignità delle istituzioni.



Vorrei soprattutto raggiungere quelli fra voi che, ansiosi per il loro futuro, mi hanno chiesto e mi chiedono che cosa possiamo fare, come, quando?



Vorrei saper scrollare quelli che straniti, indifferenti, al più curiosi, guardano i loro coetanei arabi insorgere valorosamente, pronti a morire sulle coste dell’Africa per l’uguaglianza, la libertà e la democrazia, per quegli ideali ormai da noi mal sopportati, ma per i quali si è battuta la mia generazione.



Vorrei dire che di tanta inerzia e inettitudine siamo noi i colpevoli, per non aver saputo, nella grande rovina, portare a compimento la rinascita; per esserci preoccupati più di ricostruire le cose anziché le persone; per non aver saputo scindere fino in fondo il bene dal male; per non aver saputo epurare, selezionare; per aver incrementato più i bisogni che non i mezzi per soddisfarli; per non aver saputo preparare la generazione dei vostri padri. Di tanta colpa vorrei chiedere perdono.



So che, quando parliamo con voi giovani e parliamo di futuro, non teniamo abbastanza conto della vita che vivete oggi. Ed è come se cercassimo di rispondere a domande che non vi interessano, e voi ci guardate con diffidenza, ma so, per quel che ho vissuto, di essere più vicino a voi di quanto non lo siano i vostri padri, so di preoccuparmi di quel vostro futuro forse perché è l’unico che noi vecchi possiamo pensare e in cui possiamo credere ancora in una visione di continuità.



Vorremmo tutelarvi dal ritorno di poteri che noi abbiamo conosciuto e subìto, e che ora vengono fatti passare come inevitabili in nome di un necessario decisionismo. Allora non è sufficiente che le regole restino scritte nella nostra Costituzione per contenere l’abuso, occorre pretenderne il rispetto, occorre applicarle. (...)



Voi giovani dovete essere i primi a reagire, nessun altro lo fa, ha la forza e l’urgenza di farlo. A cominciare dai vostri padri. Il vostro futuro dipende da voi, perciò potete e dovete pretenderlo nuovo, pulito, libero, senza compromessi, senza scorie, depurato dagli errori di chi vi ha preceduto. Provate a pensare il futuro a vostra immagine, non secondo quella dei vostri padri che sono schiacciati sul presente e incapaci di andare oltre questo fango. (...)



Noi allora a credere, sperare e combattere eravamo veramente pochi. Molte erano le speranze e gli ideali. Ma solo alla fine in tanti ci seguirono. Voi disponete di mezzi di comunicazione e di richiamo che ai tempi della vita clandestina mai avremmo sognato di poter utilizzare. Non occorrono mezzi finanziari, sono sufficienti volontà, coraggio e perseveranza, uniti all’immaginazione, per iniziative di richiamo, di pulizia, di risveglio. Così conquisterete l’attenzione dei vostri padri e imporrete una vostra agenda. Le scuole, palestre della vostra mente, sono la vostra casa. Salvatele, curatele, preservatele dall’incuria e dall’ingiuria. Unitevi ai vostri professori, che vi preparano alla vita, abbiate fiducia in loro e date loro affetto e riconoscimento.



Rivendicate la vostra carriera, che deve essere riservata solo al merito, non alle grazie delle escort, ai favori mercenari di ruffiani e servi corrotti. È il vostro momento. Il momento dei valori più alti da contrapporre agli interessi meschini e di parte. L’Italia è ancora piena di bella gente che vi attende. Non tutti sono rassegnati. Molti vi seguiranno. La vera rivoluzione sta nel salvare le istituzioni nate dalla Resistenza, nell’appropriarsene e sentirle veramente vostre, non lasciandole a una casta che non vi rappresenta.



Occorre un nuovo Risorgimento e rifarsi ai valori che hanno animato quelle generazioni, pronte al sacrificio della vita per la libertà e l’indipendenza. Occorre completare quello che nella rinascita della Liberazione purtroppo è rimasto incompiuto. E non si tratta di mere preoccupazioni giuridiche o tecniche. È in gioco la qualità umana del vostro futuro. (...)
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