Paraletteratura incontentabile, libri per chi non legge

Paraletteratura incontentabile, libri per chi non legge
di Luca Ricci
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Sabato 21 Settembre 2013, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 14:12
Anna Premoli ha vinto il Bancarella. L’affermazione parrebbe un controsenso, visto che Anna Premoli scrive paraletteratura mentre il Bancarella, almeno fino a questa edizione, era ritenuto un premio letterario.

Un premio che, a voler ridere per non piangere, in passato era stato vinto da gente come Jep Gambardella (sì, il personaggio di fantasia di quel vecchio film di Sorrentino La grande bellezza, di cui Fellini ha fatto recentemente il remake intitolandolo La dolce vita: o forse è il contrario?).



L’escalation della paraletteratura che non si accontenta di vendere e intrattenere ma esige anche l’applauso dei palati fini è cominciata qualche anno fa, quando Antonio D’Orrico scrisse che Giorgio Faletti era il più grande scrittore italiano vivente. Da allora la fabbrica dei best seller nostrani non è stata più la stessa. Di questo passo arriveremo a una tavola rotonda su “L’erotismo e il perturbante nella narrativa di Irene Cao” o a una pubblicazione accademica circa “La metafisica del sangue in Donato Carrisi”.



Il punto è che la critica è morta proprio perché la maggior parte dei romanzi di queste stagioni letterarie non è passibile di una qualsivoglia indagine: sono scritti in un’altra lingua rispetto ai codici letterari, sono scritti per essere letti da chi non legge (nulla di male, più o meno, se non vincessero anche i premi letterari). Lo mostra chiaramente il libro del giornalista Pippo Russo L’importo della ferita e altre storie (Edizioni Clichy, € 15,00), in cui senza voli pindarici s’inchiodano alcuni autori di successo al muro delle loro stesse frasi.



Si scopre così che Moccia, Volo e compagnia sarebbero illeggibili, se solo la maggior parte degli acquirenti (non dei lettori, attenzione!) sapesse leggere. E Premoli? A pagina 286 del suo Ti prego lasciati odiare (il libro vincitore del Bancarella) si legge: “c’è l’ha”. Senza imbastire inutili apocalissi, anche i refusi devono avere una dignità.
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