Addio a Manlio Sgalambro, filosofo cantautore: aveva 90 anni

Addio a Manlio Sgalambro, filosofo cantautore: aveva 90 anni
di Rita Sala
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Venerdì 7 Marzo 2014, 11:58 - Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 19:54
Filosofo, scrittore, poeta e cantautore, Manlio Sgalambro morto a Catania all’et di 90 anni.

Era nato a Lentini il 9 dicembre del 1924. Esponente del pensiero nichilista (era un nietzschiano con un occhio a Cioran), studiò Giurisprudenza. «Non mi iscrissi alla facoltà di Filosofia - spiegava - perchè la coltivavo già autonomamente. Mi piaceva invece il diritto penale». Alla fine degli anni Settanta organizzò il suo pensiero in un’opera sistematica, pubblicando con Adelphi La morte del sole. Con lo stesso editore, nel tempo, Trattato dell'empietà, Anatol, Del pensare breve, Dialogo teologico, Dell’indifferenza in materia di società, La consolazione, Trattato dell’età, De mundo pessimo, La conoscenza del peggio e Del delitto. Negli anni Novanta, ad una piccola casa editrice di cui faceva parte, la De Martinis, affidò due testi Dialogo sul comunismo e Contro la musica. Del 2010 èL’impiegato di filosofia; del 2011 due raccolte di poesie, Nell’anno della pecora di ferro e Marcisce anche ilpensiero. Ultimo lavoro, due anni fa, Della Misantropia.



IL GESTO E LA MENTE

Metà pirata, metà artista e un nome che suonava, insieme, liquido e rapace: Manlio Sgalambro. Testa da prete greco. E la forza di un pensiero che scivolava libero verso il rischio. Davanti a un sorbetto di melone e dopo un assaggio di Piacentino di Enna (il formaggio siciliano color girasole, tempestato di chicchi di pepe nero), parlava di felicità. Di, non della. Dava corpo momentaneo alla condizione più appagante e difficile tra quelle cercate dall’uomo. E ricordava la lettera di Epicuro a Menece (o Lettera sulla felicità, uno dei pochissimi testi del filosofo greco che non siano andati distrutti): «Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità».

«La riscoperta del piacere e la ricerca della felicità dell’oggi - diceva Sgalambro - sono le uniche cose che salverei in questo periodo storico tutto sommato banale, assieme alla civiltà tecnologica». E faceva poesia del concetto: «Hai fra le mani un bel calice di cristallo, lo accarezzi, ne segui con le dita la forma, lasci che tintinni se percosso da un colpetto dell’unghia o da un altro oggetto. In quella levigatezza, in quel suono, c’è la felicità».



LA FELICITÀ

Dai Greci a Russell, passando per Agostino di Ippona e Schopenhauer, fino al popolo antiglobal che invoca «lo stato di felicità permanente», Sgalambro collocava il sospiro dell’uomo che tende a uno stato di completo soddisfacimento. «La mia percezione di felicità - personalizzava - viene dall’unione con l’infimo e il trascurabile, con il fugace. Anche con il “basso”. L'idea del “piccolo”, scommessa sotterranea della nostra epoca, si fa luce attraverso mille manifestazioni, ma soprattutto attraverso la tecnica, che individua il “più piccolo”, il “sempre più piccolo”. Lo ha capito chi teme la tecnica, perché coglie come essa tenda proprio al più piccolo e insidi le tensioni al “più alto”, le fedi dalle quali quasi tutti sono purtroppo presi».



Sganciava la felicità da ogni limite che il tempo, la storia, l’etica e l’anatomia vorrebbero porle, lasciandola dipendere da efficienze odierne che annullano le distanze, cancellano le deformazioni, appianano le asperità. Le affiancava il coraggio della persona, dote dalla quale dipende la possibilità di vivere e di pensare: «Vivo per pensare, è una costante del mio spirito. Ma per pensare occorre forgiarsi un corpo adatto, assolutamente necessario nel mondo attuale dove tutti, per imposizione, pensano». In quel “corpo adatto”, dove la vita non è più slancio, ma vertice, o, secondo il filosofo, «climax», il tempo giusto per la Grande Valutazione è la vecchiaia: «Che non porta né le rondini, né la fioritura degli anemoni, ma la possibilità di essere felici in momenti svincolati dall’Io e agganciati invece al tempo esterno, quello del mondo, quello dell’orologio, cadenzato sui ritmi della materia».



IL CALICE DI CRISTALLO

«Il tintinnìo di un bel calice di cristallo - ripeteva - è felicità. O l’aroma di zafferano che un cibo, sul piatto di ceramica, sprigiona sotto il naso dell’inappetente, che spilluzzica solo per godere dei sapori». Non a caso ha scritto, per la ballata Serial killer: «Mentre al riparo di un faggio anelo alla felicità delle foglie, sfilano lontane carovane e il mio sogno è perfetto. Ma l’esistenza mi attira, mi vedo riflesso sulle acque del lago, sogno pomeridiano di un fauno che si sveglia».



C’è qualcosa, in tutto questo, che apparenta le differenti ricerche e avvicina la tattile, immanente e possibile (nella successione delle sue brevità) felicità di Sgalambro al monito di Agostino: «Guardatevi dall’alto e splendido monte fasciato di luce», una vetta alla cui seduzione chi trova la felicità in Dio deve accuratamente sfuggire.
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