Robert Capa, la leggenda: in un libro documenti e foto inedite

Robert Capa, la leggenda: in un libro documenti e foto inedite
di Leonardo Jattarelli
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Mercoledì 5 Dicembre 2012, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 6 Dicembre, 17:18
ROMA - La guerra? Un inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli. Robert Capa appunt questo pensiero sul suo taccuino durante lo sbarco in Normandia. Un paradosso della vita, per una vita come la sua. Sicuramente l’epigrafe che avrebbe voluto sulla propria tomba l’ebreo Endre Erno Friedmann, nato a Budapest nel 1913, considerato da sempre il fotoreporter più celebre di tutti i tempi, l’inventore del fotogiornalismo moderno, colui che immortalò con la sua Rolleiflex (alcuni affermano che la macchina di Capa fosse una Leica e che la Rolleiflex appartenesse alla sua giovanissima compagna, la comunista tedesca Gerda Taro morta a 27 anni vicino Madrid schiacciata da un carro armato durante la guerra civile spagnola) ben cinque conflitti bellici, l’ultimo dei quali gli fu fatale.



Saltò in aria in un campo minato nel ’54, durante la guerra d’Indocina. A far risplendere ancora una volta le gesta dell’intrepido viaggiatore solitario, nervi d’acciaio, cuore di leone e passione sfrenata per lo ”scatto” è oggi una nuova e straordinaria pubblicazione edita da Contrasto (la stessa casa editrice che ha pubblicato in Italia il diario di Capa, Leggermente fuori fuoco) dal titolo emblematico Robert Capa, tracce di una leggenda (240 pagine, 21,90 euro), firmato dai giornalisti Bernard Lebrun e Michel Lefebvre. La nobile prefazione è quella del fotografo americano John G. Morris, collega di Capa, poi responsabile della rivista Life e direttore della storica Agenzia Magnum e oggi, a 96 anni, corrispondente del National Geographic.



DOCUMENTI

Inediti, lettere, pubblicazioni, oltre 300 documenti e centinaia di foto ci conducono nell’avventura europea e mondiale di quello che lo stesso Harris definisce «il più grande testimone che io abbia conosciuto delle tragedie del Novecento». E se il libro focalizza la sua attenzione su tre stagioni fondanti della carriera di Capa, quella che lo vede rifugiato a Parigi dal ’33 al ’35, la sua campagna in Spagna durante la Guerra Civile fino al ’39 e il lungo soggiorno americano fino al ’54, non tralascia anzi approfondisce ogni singolo fotogramma dell’affascinante viaggio del piccolo grande uomo, amico fraterno del più ignoto combattente come dei miti di ogni tempo, da Hemingway a Cartier-Bresson, da Bunuel a Joris Ivens. La tecnica seguita dai due autori del libro è quella, affascinante, del continuo rimando; un lungo flashback che non fa in tempo a prendere appunti sul passato che è già tornato al presente; così fin dall’inizio, dove il personaggio Capa viene tratteggiato non dai suoi esordi berlinesi ma dalla casa-atelier di Parigi, qualche anno dopo a metà degli anni ’30 al numero 37 di rue Froidevaux, nel XIV arrondissement.



L’ATELIER PARIGINO



Tutto proviene da questo posto magico: «I 4.500 negativi della ”valigia messicana” riportati nel 2007 dal Messico, i suoi otto taccuini di provini ma anche fotografie e oggetti che gli erano appartenuti». Robert Capa nel libro di Lebrun e Lefebvre è, volta a volta, l’amante della scrittura, il giornalista, il «mascalzone» e il lavoratore infaticabile, l’amante del poker, delle tante donne e dello champagne e il silenzioso cronista sul campo di battaglia. Ogni traccia della personalità e degli innumerevoli passaggi pubblici e privati della vita del grande fotografo vengono sezionati, scandagliati, alcuni ne vengono portati alla luce per la prima volta, altri hanno il valore di una testimonianza ispiratrice. Capa la leggenda, che ha stregato romanzieri e registi trasformandosi in archetipo, da Patrick Modiano (Chien de Printemps) a Romain Gary (Les Racines du ciel) fino al Clark Gable eroe-reporter di L’amico pubblico n.1 e al James Stewart de La finestra sul cortile.



IL PERSONAGGIO

Robert Capa il rifugiato, a Parigi nel ’33 all’età di 20 anni con solo biglietto d’andata dall’Austria; il suo primo reportage su Trotskij; nei panni di attore in romanzi d’appendice per potersi ricomprare la sua Leica; in quello di amabile figlio nelle lettere a sua madre: «...Le mie scarpe sono ancora buone e il mio amico giapponese mi ha regalato un impermeabile che mi ha portato da Londra. E, inoltre, ho il cappello». FALLING SOLDIER La leggenda di un nome inventato (chi dice che provenga dall’ungherese Kapa che significa zappa, chi da càpa che sta per squalo, chi anche dal suo amato Frank Capra) neanche troppo lentamente fa il giro del mondo. Sarà l’unico, il grande reporter del Fronte popolare e dei miliziani spagnoli; l’autore dell’ancora chiacchierata foto Falling Soldier alla quale il libro di Lebrun e Lefebvre dedica ampio spazio; il giornalista che per la prima volta si firma su Ce soir nel ’38 senza bisogno di pubblicare una foto a corredo; l’autore del celebre Taccuino cinese durante la guerra d’Indocina, fino al Robert Capa l’americano che nella primavera del ’47 al ristorante del MoMa fonda l’agenzia Magnum. Nel mezzo, la lunga parentesi di vita e miracoli di un irraggiungibile cronista che sul risvolto della copertina del suo Leggermente fuori fuoco, spiega: «Scrivere la realtà è ovviamente difficile, per questo talvolta mi sono concesso di andare leggermente oltre e leggermente accanto».
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