Atlantide di Roma antica: la meraviglia dell'Urbs costruita in 3d

La domus di Augusto (1893-1901) di Rodolfo Lanciani
di Fabio Isman
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Venerdì 8 Giugno 2012, 15:45 - Ultimo aggiornamento: 9 Giugno, 23:44
ROMA - Ci ha gettato dentro i risultati e le ambizioni degli studi con Ranuccio Bianchi Bandinelli, poi i 25 anni di scavi sul Palatino, i decenni d’insegnamento a Siena, Pisa e alla Sapienza di Roma, i suoi 38 libri, e ne ha tratto il pi ambizioso di tutti;
l’archeologo Andrea Carandini dice: «Dieci anni di lavoro; abbiamo iniziato in 35: di loro, due soli hanno un posto fisso; gli altri sono senza lavoro. È il primo tentativo di ricostruzione, anche tridimensionale, della Roma dal IX secolo avanti Cristo al VI dopo. Nessuno aveva mai aggiornato la Forma Urbis di Rodolfo Lanciani», dieci anni di solitario lavoro da certosino, 46 tavole in scala 1:1000, pubblicate dal 1893 al 1901. Il 12 giugno va in libreria Atlante di Roma antica, biografia e ritratti della città, due volumi, 1.250 pagine, con 248 foto e 333 tavole (Electa, 150 euro).



Nella casa a via XXIV Maggio, di fronte al Quirinale, due piani sotto a dove abitava Gianni Agnelli e uno sopra ad Aurelio De Laurentiis, Carandini ne sfoglia la prima copia. «Il Pantheon ha due frontoni perché erano troppo basse le colonne per sorreggere il primo: qui, lo si vede. Al Teatro di Pompeo, si legge anche il piedestallo ai cui piedi Cesare si accasciò». Si alza; da una finestra, mostra, nella proprietà Colonna, i resti del Tempio di Serapide, il più grande di Roma; riprende in mano il libro: «Eccolo qui, ricostruito per la prima volta».



Di oltre 200 edifici, anche tavole a tre dimensioni: non sarà un azzardo? Le polemiche non mancheranno.

«Abbiamo collezionato tutte le fonti possibili. Quello che ancora rimane, cioè i dati archeologici; quelle letterarie antiche; l’iconografia. Vi abbiamo aggiunto i confronti possibili: spesso, l’architettura era seriale; e tentato le ricostruzioni. Per esempio: del Tempio di Serapide noi ora conosciamo le scale, perché un disegno del Cinquecento le descriveva; nell’Hadrianeum abbiamo inserito le palme perché una moneta mostra la loro collocazione. La scena del Teatro di Pompeo nella fase tarda è quella del Teatro di Sabrata, a lui coevo. Dei Navalia in Campo Marzio è rimasto nulla: come della Porticus Aemilia; però c’è assai più dell’Arsenale Medici e di quello di Portus; così, abbiamo ricostruito anche quale era, per noi, il loro aspetto».



Carandini, qualcuno vi accuserà certamente di troppi voli pindarici, non crede?

«Partiamo da due principi. Nessuna città ha qualcosa di paragonabile alla Forma Urbis di Lanciani; e Roma è come un grande fiume che scorre: nel tempo, muta di continuo. Ma un povero turista non può capire come era l’Urbe: ne vede solo statue e pitture. Così, abbiamo voluto ricostruire il suo paesaggio. Nessuno l’aveva fatto finora, forse per mania di perfezionismo. Ma bisognerà pur iniziare, no? Noi facciamo delle proposte, pronti a mutarle se qualcuno ne fornirà di migliori e più convincenti. L’immaginazione scientifica non è fantasia: si procede sempre anche per analogie».



In realtà, queste 1.250 pagine con tante tavole a colori sono quel Museo della Città che lei non riesce a fare?

«Ne sono almeno l’inizio. L’idea era di Veltroni: è stata lasciata cadere. Ora a via dei Cerchi si parla perfino di collocare un albergo, degli uffici. Va anche aggiornato il plastico della Roma di Costantino. Nel libro, ho riversato tutto il mio sapere archeologico, integrato con quelli di Paolo Carafa, mio allievo e mio successore alla Sapienza, e di un gruppo di giovani capacissimi di computer, che hanno fatto le nottate in piedi per questo progetto ambizioso».



Qualche scoperta?

«Beh, qui c’è la Villa della Farnesina, ricostruita con le camere degli schiavi, vista da terra e dal Tevere; diamo un nome anche a chi la ha costruita: Lucius Arruntius; vicine sono infatti le Cantine Arrunziane: erano anche collegate alla Villa. Nel salone del Diribitorium in Campo Marzio, è disegnato anche il trave più lungo dell’Urbe, trenta metri: stava nel salone, e l’edificio era alto trenta metri, come un nostro edificio di dieci piani. Non si era mai visto il Palazzo imperiale come era in tutta la sua immensità. O tante teste marmoree che ancora possediamo, ricollocate nei loro templi. A Caracalla si vede dove stava il Toro Farnese, quali erano le condotte d’acqua. Si scopre che le basiliche tardo-antiche erano, in realtà, delle sale da pranzo. Che la lunghezza delle basiliche di San Pietro e di Treviri è analoga, 200 piedi, a quella del Sessorium, il palazzo imperiale: Costantino dà alla Cristianità lo stesso numero di piedi che, in realtà, aveva dato a se stesso, la medesima maestosità; se si guarda il palazzo di Eliogabalo, sembra di stare a New York. C’è perfino la camera da letto dove fu ammazzato Diocleziano: il frontone del suo palazzo è quello che è stato inciso in un’altra moneta».



Paolo Carafa precisa: «La memoria del progetto e delle sue tavole è di circa dieci gigabyte», circa 170 ore di musica in un computer. Si è fatto largo uso di un programma per architetti che si chiama Autocad; i dati sono aggiornati alle ricerche del 2000. Carandini riprende: «In realtà, di Roma non si sa nulla»; e per saperne di più, si deve rimettere insieme, come in un mosaico, tutte le fonti disponibili, e tentare, appunto, una ricostruzione. Grande utilità dei disegni cinquecenteschi di Pirro Ligorio; molto utili le monete; parecchio altre fonti. «E’ stato un lavoro micidiale, ma affascinante. Qui c’è il Tempio di Traiano e Plotina ai Fori, di cui in tanti hanno negato l’esistenza; le capanne nel Foro, dell’VIII secolo, si vede come dopo diventano, e come ora vediamo il luogo: la base è sempre la cronologia. Della casa di Caligola si legge il ponte che si era costruito per raggiungere il Campidoglio; di quella di Augusto si seguono tutti gli ampliamenti successivi. Era un lavoro che mancava; al mondo, ma anche a me stesso».
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