Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Marco Presta: «La felicità esiste e vive in una radio»

Marco Presta
di Riccardo De Palo
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 18 Ottobre 2017, 13:22 - Ultimo aggiornamento: 13:23
Ogni tanto Marco Presta cessa di essere la voce radiofonica che tutti conosciamo, e quindi di condurre con Antonello Dose Il ruggito del coniglio, per cedere a un'altra grande passione: scrivere romanzi. Ma senza mai rinunciare alla sua vena ironica e paradossale. Così, chiamarlo al telefono può rivelarsi un'esperienza surreale.

Signor Presta, nel suo nuovo romanzo, Accendimi, c'è una donna che parla con una radio, e adesso ho l'impressione di farlo anche io. Sono sintomi di follia?

(Ride) «Siamo un po' tutti folli, stia tranquillo. Il mio protagonista, Caterina, sente una voce che esce dall'apparecchio radiofonico e che, piano piano, diventa un personaggio reale. Lei dapprima è sospettosa, ma poi inizia a fidarsi. Quest'uomo che le parla da un cubo con l'antenna è capace di darle risposte che la sua vita non le dà, che non trova nel rapporto con il suo compagno».

L'uomo ideale, una chimera.

«Molte signore saranno d'accordo: l'uomo ideale esiste, ma non è reale, si trova solo nella fantasia. L'esperienza che vive Caterina con Antonio, la voce che esce dalla radio e di cui si innamora, crea un problema tecnico non indifferente. Perché non vivono in quartieri, in città differenti, ma in due mondi diversi».

La città in cui si svolge questa favola, Roma, resta sullo sfondo ma potrebbe essere una qualsiasi città italiana.

«Nei romanzi precedenti Roma è più facilmente identificabile; ma qui no. Le periferie delle grandi città si assomigliano tutte: sono scenari pazzeschi. L'importante era che fosse un quartiere vero, come il mio».

Dove ha messo le radici?

«A Cinecittà. Prima nel quartiere Don Bosco, ora nell'Appio Claudio, ma il quartiere è sempre quello (a cui mi sono parecchio affezionato, devo dire): una Roma vera, per niente turistica, dove vivono tante persone; ci sono più abitanti che a Bologna».

In ogni libro l'autore si identifica più in un personaggio che in un altro. Lei è l'Antonio della radio?

«Tendo più a immedesimarmi in Caterina, paradossalmente. Anche un po' nel fratello, che è pigro (e vile, per certi aspetti). Ma Caterina ha una caratteristica che io ho a sprazzi: è combattiva, ha una muscolosa fiducia nel futuro».

La sua eroina è una pasticciera. Come mai? Quanti pasticci bisogna fare per riuscire nella vita?

«Tanti, tanti, tanti. Solo che i pasticci suoi sono piacevoli, quelli che combiniamo noi sono più difficili da digerire. Nelle cose che ho scritto finora ho sempre immaginato persone che fanno lavori veri, concreti. Il primo era un falegname, poi è arrivato un geometra disoccupato, un vivaista, e adesso Caterina. Viviamo in un'era di lavori strani - web designer, account senior - con nomi anche un po' ridicoli. Il fatto che esista un idraulico mi rassicura».

Si è mai sentito come il suo Ettore (o il produttore Weisenstein), un bambino rimasto chiuso in una pasticceria?

«Sì, alcune volte. Anzi, mi è parso di essere rimasto chiuso fuori dalla pasticceria».

Dopo tanti commissari eroici e carismatici, il suo Gianfranco è proprio un uomo di mezza tacca. Tra guardie e ladri, meglio questi ultimi?

«Beh, diciamo che cerco di capire anche il punto di vista dei ladri. Gianfranco è un antieroe, un anticommissario. Un uomo noioso; tra i tanti difetti che possiamo avere credo che sia uno dei peggiori».

Accendimi suona come una canzone dei Doors, invece si tratta di un pulsante.

«Sì, quello della radio, ma anche di Caterina. Lei non riesce proprio ad accenderla, questa vita. Cerca di aiutare il fratello, di essere una buona compagna per Gianfranco, ma le sembra di vivere in apnea, in una campana di vetro».

La radio, dunque, può essere molto di più che un semplice elettrodomestico.

«La radio è l'unico oggetto vivente che abbiamo in casa. È un'amica, una compagna, un sostegno. Chi ascolta Il ruggito da tanti anni ci considera persone di famiglia; quando vengono a trovarci in trasmissione, ci portano dei dolci. Non amerai mai nulla come la radio che ascolti quanto entri stanco in macchina, quando sei a letto e non riesci a dormire. La radio è un amico, un parente, una presenza reale, un'anima».

Un medium caldo, come diceva McLuhan?

«Sì, lo è veramente e ho avuto modo di sperimentarlo».

Al suo Antonio, come a un amante in fuga, viene chiesto di nascondersi. Ma è già dentro una radio.

«Certo, lui vive come uno scoiattolo dentro un buco dell'albero, ma questo non lo rende meno reale di una persona che sta nella stanza accanto. Prova passione, si arabbia; è vivo come è viva la radio. Ed è questo che conquista Caterina, alla lunga».

La radio ha nel suo libro una funzione quasi taumaturgica.

«Sì, certo, taumaturgica e direi anche magica. Nel corso degli anni, alcuni mi hanno detto: sai, ero depresso, e ascoltarvi mi ha aiutato a uscirne fuori. Questa è una cosa meravigliosa, che dà senso al lavoro che facciamo».

Dentro la radio ci sono i buoni, e fuori i cattivi?

«La vita ci insegna che buoni e cattivi non sono tutti da una parte o tutti dall'altra. Diciamo che, nel caso di Accendimi, la radio rappresenta la parte sana, la porta che si apre nella vita di Caterina all'improvviso. Come Alice nel paese delle meraviglie: si sente una voce che dice dai vieni, la bambina trova una porticina e da quel momento in poi è tutta un'altra storia».

Scrive che gli animi gentili riescono a gioire della fortuna altrui anche se la loro è stata appena centrata da un meteorite. Lei si definisce un animo gentile?

«Tutti abbiamo dei meteoriti. Io sono un feroce animo gentile. Nel senso che spesso mi capita di ringhiare; lo faccio per paura, per mettere le mani avanti».

Tutti noi abbiamo una voce alla radio che può salvarci?

«Certo, ma per sentirla dobbiamo coltivare l'animo gentile che potenzialmente si trova in ognuno di noi».

C'è persino un pizzico di Orson Welles, e dello scherzo della guerra dei mondi, nel suo libro.

«Sì, come no, è citato a un certo punto».

Annuncerete bufale anche in trasmissione? O avvertirete, come l'Antonio della radio, io non esisto?

(Ride) «Sa, il problema è che in Italia non capisci mai dove finisce la bufala e comincia la notizia vera. Una modica quantità di bufale è accettabile e rende anche più divertente la vita, naturalmente, ma deve esserci uno scalino che non si deve superare».

Lei passa dalle crostate alla teoria delle stringhe. Ma se ci fosse un multiverso, lei dove vorrebbe stare?

«Sa, l'idea del multiverso è affascinante e - devo dire la verità - prima di scrivere questo romanzo ne sapevo molto poco; poi ho studiato delle cose per essere il meno cialtrone possibile. Ne parlano Nobel della fisica, personaggi molto importanti. Non dicono che esista ma che potrebbe esserci; è affascinante...»

Lei ci andrebbe?

«Mi piacerebbe fare una passeggiata in un altro universo, ma ammetto la mia meschinità: mi verrebbe voglia di tornare molto presto. Si potrebbero fare delle gran belle vacanze nel multiverso, ma so che vorrei tornare da mia moglie e dai miei due figli. Sono loro il mio luogo del cuore».

Martedì il suo libro sarà in libreria.

«Mi piace molto incontrare il pubblico quando facciamo le presentazioni. Dopo Treviso, sarà la volta di Roma, giovedì prossimo (ore 18, feltrinelli di Via Appia nuova, ndr). Ho scoperto che mi entusiasmo; il rischio però è che, preso dalla foga, racconti tutto il romanzo. L'auto spoileraggio è una mia debolezza».

Ma noi come va a finire il suo romanzo non lo raccontiamo.

«No, meglio di no».