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di Luca Cifoni

Il paradosso della giustizia lenta che a sua volta intasa la giustizia

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Sabato 30 Aprile 2016, 20:29 - Ultimo aggiornamento: 21:11
Che l'inefficienza e la lentezza della giustizia italiana siano un guaio non solo per i cittadini, ma anche per l'economia e la competività del Paese è un fatto riconosciuto da tutti, sulla carta. Naturalmente dalla consapevolezza all'individuazione (e condivisione) dei rimedi il passo è lungo, anche se negli ultimi tempi qualcosa si sta muovendo in parte grazie al contributo della tecnologia. 

Il dibattito pubblico su questo tema tocca da vicino anche la giustizia amministrativa: i suoi procedimenti sono relativamente più veloci di quella civile, ma è accusata da alcuni di rappresentare un fattore di intralcio delle opere pubbliche, per l'eccesso di ricorsi a Tar e Consiglio di Stato. Il tema è stato affrontato con equilibrio dal vicedirettore della Banca d'Italia Salvatore Rossi in un suo intervento. Tra le altre interessanti osservazioni ce n'è una che riguarda l'aumento dei ricorsi "in ottemperanza", pur in un contesto in cui i giudici amministrativi riescono a velocizzare le procedure e a smaltire gradualmente l'arretrato.

I ricorsi in ottemperanza sono quelli con cui i cittadini chiedono di far eseguire una decisione presa da altri giudici. Rossi osserva che l'esplosione di questo fenomeno dipende prevalentemente dai procedimenti per il risarcimento del danno da eccessiva durata dei processi, sia civili che amministrativi, in applicazione della legge Pinto. Succede però che le amministrazioni non riescano a fare fronte ai pagamenti: da qui la necessità di rivolgersi al giudice amministrativo. Quindi, riassumendo: i processi sono lenti, lo Stato viene per questo condannato a risarcire i cittadini danneggiati, l'amministrazione però non paga, il cittadino va al Tar ingolfando e rallentando ancora la giustizia. Inefficienza al quadrato, o forse al cubo.
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