Cool Britannia
di Cristina Marconi

David Bowie, il Brixton boy e l'anima immortale di Londra. 

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Lunedì 11 Gennaio 2016, 15:30 - Ultimo aggiornamento: 15:29
 Per le strade di Londra David Bowie si incontra spesso. Succede oggi, succederà anche domani. Basta guardare bene, cercare tra la folla qualche uomo, donna, ragazzo o adolescente dall’aria compostamente anarchica nei jeans attillati, con un sorriso indecifrabile sulle labbra sottili e quegli zigomi affilati da gatto giapponese, come cantava lui. E’ un tipo umano più frequente di quanto si possa pensare, quello del Duca Bianco, soprattutto tra le persone normali, tra le classi popolari: un suo quasi sosia serve English breakfasts in un noto caffé di Finsbury Park, ogni volta che ci vado resto a guardarlo e mi chiedo se ne sia consapevole. Certo non ci gioca più di tanto, se lo facesse smetterebbe di somigliargli immediatamente, l’aria assorta e un po’ luciferina con sprazzi di angelicità purissima è importante tanto quanto il naso aquilino e sottile per richiamare David Bowie. La vanità deve essere assoluta, personale, abrasiva. Non c’è spazio per le mascherate, neanche sotto una pioggia di paillettes.  Ziggy Stardust è ovunque, a Londra. In città i travestimenti vanno presi sul serio: se ti invitano ad un fancy dress party, ad una festa a tema, bisogna rispettare l’invito ed essere un po’ matti, lasciarsi andare. Non basta mettere una spilla o una sciarpa un po’ così: ho visto imprenditori e baronetti pogare in parrucca e paillettes mentre mature aristocratiche si lanciavano su bauli di vestiti degni di una sartoria teatrale alla ricerca di mantelli da torero e gonne da cartomante. Senza avere mai nulla di sguaiato, al contrario. Lo scintillio dei lustrini deve essere proporzionale all’ineffabilità dell’espressione, perché per i britannici, come per David Bowie, il travestimento è rivelazione, non finzione. La notizia della sua morte, ma anche della sua malattia, ha raggiunto i londinesi come una pugnalata, in un lunedi’ mattina di pioggia martellante e di temperature finalmente invernali, mentre foto di un Bowie giovanissimo campeggiavano ancora sulla prima pagina di alcuni inserti della domenica, era appena uscito un nuovo libro su di lui e l’artista non era mai sembrato così vivo, tra mille progetti e collaborazioni. La BBC, colta di sorpresa, ha iniziato a chiedere a tutti gli intervistati un commento sulla notizia, come si fa in questi casi, e al microfono sono finiti personaggi diversi come l’arcivescovo di Canterbury e Jeremy Corbyn, entrambi afflitti, anche perché Bowie è morto a New York e non c’erano ancora case davanti alle quali appostarsi, parenti con gli occhiali scuri da avvicinare. Ma piano piano il lutto ha trovato un suo luogo: a Brixton si è creato il primo santuario, la prima meta di pellegrinaggio, in quel quartiere popolare e multietnico dove David Jones è nato nel 1947 da una mamma cameriera e un papà impiegato di una grande charity per l’infanzia e dove ha iniziato la sua ascesa. Stasera alle 7 è previsto un raduno davanti al Ritzy, il celebre cinema sulla piazza principale, che sul tabellone della programmazione ha scritto “David Bowie, our Brixton boy. RIP”. Davanti al grande murales con il volto di Bowie i fiori si sono già accumulati, come per tutti i grandi lutti collettivi. L’emozione era troppo grande per aspettare la sera.  
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