Prete strangolato, nuovo processo per don Paolo Piccoli che si proclama innocente

Prete strangolato, nuovo processo per don Paolo Piccoli
di Marcello Ianni
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 07:38

Su don Paolo Piccoli tutto da rifare: a febbraio nuovo processo, come stabilito dalla Corte di Cassazione che a marzo scorso aveva annullato la condanna a 21 anni di carcere per il sacerdote 56enne originario di Verona, ma incardinato nella diocesi dell’Aquila, a riposo, accusato di aver strangolato, il 25 aprile 2014, l’anziano prete don Giuseppe Rocco che viveva con lui a Trieste in un seminario per sacerdoti pensionati.

Il 21 febbraio dunque la dibattuta vicenda verrà nuovamente affrontata a Venezia e non più a Trieste, dove si sono svolti i primi due gradi di giudizio. L’avvocato Vincenzo Calderoni del Foro dell’Aquila riconduce il pronunciamento della Corte di Cassazione (che ha aderito al ricorso dello stesso legale) al fatto che è stato violato il diritto alla difesa dell’imputato e in particolare il diritto cosiddetto delle armi pari, il quale vuole che nella prova tecnica siano sempre ascoltati i consulenti della difesa. Principio che contrastava con quello in vigore fino allo scorso anno quando è stato invece recepito quello evidenziato dall’avvocato del Foro dell’Aquila. Un principio non di poco conto perché se all’apparenza può sembrare di natura “tecnica”’ nella realtà è sostanziale in quanto mette in discussione l’utilizzabilità delle consulenze tecniche che nei primi due processi hanno portato alla condanna di don Piccoli. 

Nel processo che a febbraio si celebrerà occorrerà accertare se don Rocco è stato davvero ucciso o se invece deceduto per cause naturali o se la rottura dell’osso ioide che ha portato don Piccoli sotto processo possa essere avvenuta durante le operazioni autoptiche.

Su questo ultimo aspetto sempre l’avvocato Calderoni ha evidenziato come tra gli accertamenti non eseguiti dopo la morte del sacerdote c’è la Tac. Tutto ciò in aggiunta all’impossibilità da parte dei consulenti della difesa di controbattere su tale aspetto ritenuto decisivo. Altro interrogativo che verrà affrontato è il movente: il furto di una collanina (di scarso valore) da parte di don Piccoli al sacerdote deceduto, tra l’altro mai rinvenuta nonostante le diverse perquisizioni.

C’è poi la questione delle tracce ematiche. Secondo l’accusa l’omicida avrebbe messo le mani sul capo e sul collo della vittima inerte per esercitare la pressione necessaria allo strangolamento. Ma per Calderoni tale ricostruzione non è logica visto che tracce ematiche di don Piccoli sono state rinvenute sul lenzuolo e coprimaterasso, ma non sulla maglia che indossava la vittima durante l’aggressione. Il sangue dell’imputato analizzato dal Ris sarebbe stato lasciato durante l’estrema unzione e derivante da una lesione da grattamento. Accusatrice di don Paolo è stata la perpetua di don Rocco, beneficiaria, peraltro, della sua eredità consistente (tra cui alcune proprietà immobiliari) che avrebbe poi diviso con i nipoti dell’anziano prelato.

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