L'accusa per i tre è chiara: «Omettevano di emanare idonei provvedimenti amministrativi volti a tutelare la salute pubblica e ad impedire la pubblica balneazione di quel tratto costiero». E il riferimento temporale viene indicato dalla procura nel 23 e 31 luglio 2015 e «per il solo Alessandrini a far data dal 1 agosto 2015 ed epoca susseguente e comunque fino alla data del 3 agosto 2015». «Pur avendo avuto - si legge nell'imputazione - piena contezza (in particolare direttamente Vespasiano e Del Vecchio) che sin dal 23 luglio il tratto di mare ricompreso entro il perimetro di costa antecedente quella di via Balilla e il porto di Pescara, fosse non idoneo alla balneazione (poiché le analisi di routine dell'Arta, eseguite il 21 luglio, accertavano il rilevante superamento dei parametri di legge) per il valore dell'escherichia coli; pur verificando (tutti) che a seguito della rottura dell'impianto di depurazione di via Raiale, intervenuta in data 28 luglio 2015, vi era stato un rilevante riversamento in mare di fanghi da sottoporre a smaltimento, omettevano di emanare i divieti di balneazione».
L'ARCHIVIAZIONE DEL FALSO - Originariamente il sindaco era stato indagato per falso in relazione a quelle due ordinanze, peraltro mai rese note, sul divieto di balneazione che il primo cittadino tenne nel cassetto. Una vicenda che esplose anche dal punto di vista politico, ma che venne parzialmente attenuata dalla decisione della procura di archiviare quel falso, lasciando in piedi soltanto l'accusa di omissione di atti d'ufficio: meno grave dal punto di vista penale, ma che poco cambia da quello politico. Il gip Di Fine che archiviò fu comunque esplicito: «Nel caso in esame appare certo che entrambe le ordinanze (413 e 415) formate in data 3 agosto 2015, non rispondenti al vero unicamente nella parte relativa alla data di formazione dell'ordinanza 413, non solo non sono state mai pubblicate, ma emerge inequivocabilmente, proprio dalle risultanze dell'attività tecnica, che gli indagati, sin dal momento della loro stesura, non avevano alcuna intenzione di darne pubblicazione e quindi di creare un'apparenza di atto ordinatorio da attuarsi in frode ai suoi diretti destinatari, ma semplicemente di formare un atto meramente interno, volto a giustificare, in ambito meramente politico, le valutazioni operate nella problematica insorta».
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