Viterbo, troppi cani in giardino: condannati a pagare ventimila euro

Viterbo, troppi cani in giardino: condannati a pagare ventimila euro
di Silvana Cortignani
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Giovedì 2 Ottobre 2014, 08:40
Non violenza privata nei confronti dei vicini tenere una trentina di cani che abbaiano e defecano in giardino. Ma reato minacciarli se si lamentano dei latrati e della puzza. Per questo ieri il giudice Eugenio Turco ha condannato a 20mila euro di risarcimento (il resto da quantificare in sede civile) una coppia che ha “costretto” due sposini a cambiare casa, in fretta e furia, alla vigilia di Natale 2009 a causa dell’impossibile convivenza con i loro amici a quattrozampe.

Si è concluso così un processo durato quattro anni. Vittime un avvocato e la moglie che, coronato il sogno di una porzione di villetta bifamiliare nel verde delle campagne di Nepi, al ritorno dal viaggio di nozze hanno scoperto che nell’altra metà dell’abitazione si erano trasferiti gli odierni imputati, Francesco Vita e Barbara Carboniello, con una decina di cani al seguito, diventati 32 nel giro di due anni. Inutili le proteste, nel 2009 hanno sporto denuncia e se ne sono andati a vivere altrove, mettendo inutilmente in vendita l’abitazione, per la quale ancora oggi stanno pagando il mutuo, e sobbarcandosi l’affitto di un più modesto appartamento.

Ieri i loro avvocati hanno chiesto un risarcimento record di 200mila euro, 100mila a testa, e una provvisionale di 54mila euro, calcolando solo gli affitti; vedendosi riconoscere almeno in parte il danno. «Evidentemente per il giudice si può convivere con trenta cani», hanno commentato le parti offese, amareggiate per il mancato riconoscimento del reato di violenza privata. Gli imputati, inoltre, sono stati condannati a un’ammenda di 700 euro per non avere rispettato l’ordinanza con cui il sindaco Franco Vita intimava loro di ridurre a 5 il numero dei cani, in seguito ai sopralluoghi del veterinario della Asl e della polizia locale, secondo i quali oltre 30 cani in un giardino di 1300 metri quadri sono troppi. Loro, cinofili convinti, si sono difesi dicendo di prendersi cura a spese proprie di randagi in attesa di adozione. Ma non è bastato a esimerli dalla condanna.
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