La storia risale all'agosto del 98, la bolletta incriminata era riferita ai due mesi precedenti: 2 milioni di vecchie lire. Lui - il marito - scopre che per i primi giorni di agosto la moglie ha già speso un milione mezzo. Perde la testa, imbraccia il fucile da caccia e spara alla compagna.
La colpa delle bollette esorbitanti erano le ore trascorse al telefono dalla donna con un servizio di chiromanzia a pagamento. La donna ha rischiato la vita per le ferite al torace ma si è salvata.
Per la Cassazione è giusta una condanna severa: tentato omicidio e non lesioni, come richiesto dalla difesa dell'uomo. Ma i giudici "del terzo grado" hanno detto no all'aggravante dei futili motivi, accogliendo il ricorso dell'uomo, un cinquantanovenne condannato a dicembre 2011 dalla Corte d'Appello di Perugia.
La Prima Sezione Penale della Suprema Corte ha riconosciuto che «il motivo che ha spinto l'imputato a compiere il gesto di estrema gravità... non è costituito dall'uso smodato del telefono da parte della vittima, ma dalla circostanza che il ricorso a servizi telefonici di chiromanzia comportava costi tali da dimezzare il suo reddito, con le gravi ripercussioni sul bilancio familiare».
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