Gesenu, gli intrecci mafia-politica
e gli stipendi ai mafiosi con bomba e pistola

Gesenu, gli intrecci mafia-politica e gli stipendi ai mafiosi con bomba e pistola
di Luca Benedetti
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Mercoledì 28 Ottobre 2015, 13:25 - Ultimo aggiornamento: 13:49

PERUGIA - In cinquanta pagine piene di informative dei carabinieri, della guardia di finanza, identikit e mosse per aggirare le leggi antimafia, sono due righe a far gelare il sangue.

La firma è di Antonella De Miro, prefetto di Perugia: «...sono stati acquisiti molteplici congruenti elementi per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa in Gesenu spa...». Ecco il nocciolo della misura interdittiva che nasce da quanto successo in Sicilia (non in Umbria) rispetto agli affari di Gesenu con consociate dell'isola.Si inizia con Simco, il consorzio per la gestione dei rifiuti nel catanese raggiunto da misura antimafia come una delle società che in partecipazione, la Oikos spa. Che è centrale nel consorzio. Oikos ha nel cda personaggi che hanno tenuto rapporti con imprenditori arrestati per associazione mafiosa.

Uno è incappato (poi assolto) in una indagine per mafia in cui era anche finito in carcere.

La Oikos esce dal consorzio Simco, ma secondo il Gruppo interforze Antimafia della prefettura di Catania, in maniera inusuale chiamando in causa le consociate Mosema e Gesenu. Come se i nuovi assetti societari volessero eludere proprio la normativa antimafia.Basta? Macché. Una nota informativa dei carabinieri del comando provinciale di Catania del 13 maggio scorso indica criticità sui dipendenti Gesenu che lavorano in Sicilia. E dice così: «29 dipendenti della società Gesenu spa pregiudicati anche per gravissimi reati, quali associazione per delinquere di stampo mafiosa, estorsione, rapina, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti». C'è anche un conto: su 550 dipendenti il 5,27% «è gravato a vario titolo da significative vicende giudiziarie...». Nelle carte della prefettura si fanno nomi e cognomi di chi Gesenu ha stipendiato in Sicilia e che «risultano appartenere all'area criminale Santapaola». Nel garage di uno di loro (e del fratello) i carabinieri il 15 ottobre 2003 hanno trovato «una bomba a mano mod.fl, una pistola 7,65 Skorpion, un fucile a canne mozze cal 12, un fucile semiautomatico cal 12 marca Beretta, un fucile mitragliatore mod Spectre cal 9x21....». Arresto immediato.

Tra gli addetti a rischio mafia anche uno accusato di estorsione nei confronti del presidente di Simco, consorzio a cui partecipava Gesenu. Un altro dipendente Gesenu è stato, invece, condannato per concorso in omicidio. Tra gli uomini a rischio mafia anche un umbro. Dagli atti della prefettura viene citato Giampaolo Boldrini, nato a Umbertide, 62 anni, condannato nel 1991 dalla pretura di Roma per «associazione di tipo mafioso continuato».Ma ci sono anche uomini con ruolo direttivi in Sicilia per conto Gesenu che sono finiti, in passato, nelle inchieste sui rifiuti. L'indagine è sulla gestione dell'isola ecologica di Mascalucia-Massannunziata in cui sono stati indagati con richiesta di rinvio a giudizio (associazione a delinquere e attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, le accuse della Procura) Alessandro Canovai, dirigente Gesenu; il marscianese Ivo Coli, dirigente Gesenu; Fabrizio Patania responsabile di cantiere della Gesenu; Enzo Piermatti, folignate, responsabile Gesenu e il catanese Biagio Torrisi responsabile di cantiere Gesenu.Poi c'è il caso di Tirreno Ambiente, società costituita nel 2002 in cui Gesenu ha il 10% del capitale in cui figura anche la Cornacchini Srl (un per cento). Per Tirreno Ambiente l'8 settembre scorso sono stati arrestati il sindaco (Salvatore Bucolo) di Mazzarà Sant'Andrea (Messina), tre ex amministratori delegati (uno, finito ai domiciliari, Lorenzo Piccioni, è stato senatore di Forza Italia) e ne è indagato un terzo. Indagine sulla discarica comunale i cui i soldi che doveva incassare il Comune per l'equo indennizzo erano minori del previsto. E con un buffo giro di soldi una parte dei fondi finivano alla parrocchia, copertura, secondo l'accusa, per o soldi da dare al sindaco.Nel provvedimento su Gesenu firmato dal prefetto, ampi stralci vengono dedicati a Manlio Cerroni, il privato forte nella Spa e a Carlo Noto La Diega, altro socio Gesenu e «uomo di Cerroni». Uno finito ai domiciliari a gennaio 2014 a Roma per l'affare Malagrotta e uno a Viterbo (misura subito revocata) per la gestione dei rifiuti nella città laziale. Cerroni è definito di fatto il controllore di Gesenu.

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