Missione su Giove, la tecnologia parla italiano: intervista all'astrofisico Giuseppe Piccioni

l'astrofisico dell'Inaf Giuseppe Piccioni
di Enzo Vitale
3 Minuti di Lettura
Venerdì 13 Marzo 2015, 20:00 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 12:44
Come facciamo a sapere se veramente c'è un oceano d'acqua salata sotto la superficie di Ganimede? La risposta è più semplice di quanto si creda: bisogna verificarlo da vicino. Avvicinarsi il più possibile alla Luna più grande del Sistema Solare.



Ed è quanto si propone la missione Juice dell'Esa che dovrebbe partire dal nostro pianeta nel 2022. Obiettivo finale proprio il sistema Gioviano.



Giuseppe Piccioni, astrofisico dell'Inaf-Iaps, è uno tra gli scienziati italiani direttamente coinvolto nel progetto.



Dopo l'annuncio della Nasa, ovvero della scoperta fatta su Ganimede dal telescopio spaziale Hubble, possiamo dire che la presenza di acqua allo stato liquido è una certezza? O è una probabilità?

«Si tratta sempre di una misura indiretta. L'idea del geofisico tedesco, quella sugli effetti delle aurore sul campo magnetico, è stata geniale ed è la riconferma di una previsione fatta già in passato, addirittura negli anni '70. Però fino a che non eseguiamo misure dirette non abbiamo la sicurezza al 100 per cento. Di sicuro è una prova, un segnale molto forte».



Insomma per capire se lassù c'è veramente acqua dobbiamo andarci direttamente?

«In un certro senso sì, ma questo non è un problema».



Cioè?

«E cioè che andremo lassù. Intanto diciamo che per un altro satellite di Giove, Europa, la certezza della presenza dell'acqua c'è. La scoperta è stata fatta direttamente dalla sonda Galileo della Nasa che è riuscita a effettuare misure molto dettagliate durante la sua missione».



Mi spieghi meglio il fatto che andremo lassù...

«Certo. L'Esa ha programmato la missione Juice, dall'acronimo JUpiter ICy moons Explorer, per il 2022. Si tratta di un'operazione spaziale interamente dedicata a Ganimede con diversi fly-by (sorvoli ravvicinati, ndr) di Europa, Callisto e, naturalmente, del pianeta madre: Giove».



Un'impresa totalmente europea?

«All'inizio era stata concepita insieme alla Nasa, poi all'ente americano, per questo specifico progetto, sono mancati i fondi, e così l'Esa, l'ente spaziale europeo, ha continuato da solo. In ogni caso anche la Nasa ha un piano per esplorare le lune di Giove, si chiama Europa Clipper che consiste in quarantacinque passaggi ravvicinati ad altitudini diverse, la più vicina a circa 25 km, sopra la superficie di Europa, appunto.



Qual è la sua responsabilità all'interno della missione Juice?

«Sono il responsabile dello spettrometro Majis (Moons and Jupiter Imaging Spectrometer), uno strumento che studierà la composizione mineralogica delle lune e la struttura e la morfologia dell'atmosfera di Giove. Comunque quasi metà degli strumenti sono a “guida tricolore”, ben quattro su undici».



Quali sono le altre strumentazioni italiane e chi le coordina

«Allora, abbiamo la Janus, camera ad alta definizione affidata a Pasquale Palumbo e ai ricercatori dell’Università Parthenope di Napoli e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica; il radar Rime con Lorenzo Bruzzone che guiderà i ricercatori dell’Università di Trento i quali opereranno in stretta collaborazione con La Sapienza di Roma e l’Inaf e poi l’esperimento di Radio Scienza 3GM condotto da Luciano Iess sempre della Sapienza».



Un viaggio di quanti anni? E l'arrivo nel sistema gioviano quando è previsto?

«La durata del viaggio dipende molto dal lanciatore che verrà usato, ad ogni modo allo stato attuale un viaggio ddlla durata di oltre 7 anni e mezzo con l'arrivo previsto per il 2030. Però va detto che l'attuale razzo Arianne, che dovrà trasportare Juice, sembra verrà messo in quiescenza e sostituito da un altro più veloce ed efficiente. Basti pensare, ad esempio, che l'altra missione, quella della Nasa, potrebbe durare sola la metà degli anni perchè gli Usa stanno progettando lanciatori molto più sofisticati».



Ma perchè è così importante studiare le Lune di Giove?

«Le ultime scoperte ci hanno fatto capire molto e soprattutto hanno stravolto il nostro concetto di pianeta abitabile. Oceani come quelli ipotizzati e verificati sulle Lune del sistema gioviano potrebbero ospitare condizioni di abitabilità. La sfida è già iniziata e credo che in pochi anni ne vedremo delle belle. Di sicuro noi fisici non diventeremo dei disoccupati».
© RIPRODUZIONE RISERVATA