Until Dawn, il videogame che reinterpreta i classici dell'horror

Until Dawn, il videogame che reinterpreta i classici dell'horror
di Andrea Andrei
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Lunedì 20 Luglio 2015, 05:33 - Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 17:55

Quali sono gli ingredienti di un bel racconto horror? La risposta non è scontata. Innanzitutto perché esistono poche cose più intime delle proprie paure. Poi perché il genere è talmente abusato che i cliché sono sempre dietro l'angolo. Una trappola in cui in parte è caduto anche Until Dawn, videogame Sony che uscirà in esclusiva per PlayStation 4 il prossimo 26 agosto.

Un gruppo di amici va in vacanza in montagna. Due sorelle nella comitiva muoiono in circostanze misteriose.

L'anno successivo, gli altri decidono di ritrovarsi lì, per superare il trauma tutti insieme. Ma l'idea è infelice: dovranno fare i conti con un'esperienza terrificante.

Abbiamo provato il gioco in anteprima, ed è giusto dire subito una cosa: si tratta di un titolo ben confezionato. Le sequenze cinematografiche lo rendono coinvolgente e le atmosfere offrono un'esperienza immersiva, da vivere tutta d'un fiato. Esistono due tipi di horror nei videogame: quello che si fonda sull'effetto sorpresa (il “buh!” all'improvviso, in pratica) e quello psicologico. Until Dawn appartiene alla prima categoria, ma prende molti elementi anche dalla seconda. La cosa più appassionante è infatti la possibilità di giocare nei panni di tutti i personaggi, imparando a conoscere la loro psicologia e il loro carattere. Tutto si basa sull' “effetto farfalla”: il giocatore prende decisioni di volta in volta, basandosi solo su vaghe e spesso incomprensibili premonizioni, influendo sulla trama.

LE CITAZIONI

Il gioco si appoggia a una lunga serie di citazioni, più o meno esplicite, tratte dalla letteratura e da altri videogame dell'orrore, dal bellissimo Silent Hill: Shattered memories (anche qui i capitoli sono intervallati da dialoghi con un inquietante psicologo) a The Ring, passando da Resident Evil. Il luogo in cui prendono forma le terribili vicende di Until Dawn si chiama Blackwood Pines, nome che riporta alla mente il recente Wayward Pines (romanzo da cui è stata tratta una serie tv) ma anche il celeberrimo Twin Peaks.

Chi sa prendere spunto e reinterpretare è comunque degno di lode, e quindi questo non è un difetto. Semmai c'è una certa grossolanità che in alcune situazioni poteva essere evitata. Passi il gruppo di adolescenti che per ragioni inspiegabili si ritrova a trascorrere una notte in mezzo a un bosco sperduto fra le montagne in una casa ovviamente infestata. Passino le allusioni sessuali e le scene un po' ripetitive in attesa del “buh” che fa sobbalzare dalla poltrona. Ma il cimitero indiano maledetto no. Il cimitero indiano è un cliché che affonda le sue radici, almeno per quanto riguarda la storia della moderna industria culturale, nel romanzo Amityville Horror di Jay Anson del 1977. Da allora è stato ripreso circa un miliardo di volte in vari film e libri (fra cui Pet Sematary di Stephen King, del 1983). In un gioco che avrebbe tutte le carte in regola per potersi dire “nuovo”, non ce n'era proprio bisogno. Eppure c'è.