The Evil Within, il cruento ritorno del survival horror con tanta azione e qualche cliché: la recensione

The Evil Within, il cruento ritorno del survival horror con tanta azione e qualche cliché: la recensione
di Andrea Andrei
4 Minuti di Lettura
Sabato 25 Ottobre 2014, 17:49 - Ultimo aggiornamento: 29 Ottobre, 10:31

Se avete amato le atmosfere di Resident Evil e siete fra quelli che rimpiangono i survival horror “vecchia maniera”, forse oggi sul mercato videoludico c'è un titolo che può tornare a farvi divertire.

Questo perché Shinji Mikami, la geniale mente che è dietro alla più famosa saga dell'orrore della storia dei videogame ed è a capo dello studio di sviluppo giapponese Tango Gameworks, ha dato vita finalmente a una nuova avventura: “The Evil Within”, pubblicata da Bethesda Softworks e uscita in Europa e negli Stati Uniti lo scorso 14 ottobre per Ps4, Ps3, Xbox One, Xbox 360 e PC.

Sangue. Tanto, tantissimo sangue. Un bagno di sangue, letteralmente, che a volte dà quasi il voltastomaco.

Si tratta di un elemento portante del videogame, come vuole la tradizione nipponica. Ma non è certo l'unico. Perché The Evil Within è un videogioco che ha tutte le caratteristiche del buon survival horror, che comprendono suspense, follia e, a tratti, una certa dose di genuina paura.

Tutto inizia quando il protagonista, il detective Sebastian Castellanos, si imbatte in un terrificante omicidio di massa all'interno di un ospedale psichiatrico. L'inizio dell'avventura è proprio lì, fra gli stretti corridoi dell'ospedale, dove si aggira una presenza oscura e soprannaturale di una violenza spaventosa. Ed è sempre lì che si ritrova una vecchia conoscenza di Resident Evil 4: un bestiale uomo con la motosega, che non vede l'ora di sbudellare il protagonista. D'ora in poi è un continuo di cadaveri appesi, cadaveri seduti, cadaveri squartati, cadaveri dappertutto. Sopravvivere è difficile, parecchio. La trama, all'inizio, sembra quasi inesistente, anche perché si è più impegnati a fuggire. Poi tutto diventa più complesso, e anche più confuso.

È un videogame abbastanza cinematografico, e come tutti i titoli del suo genere a tratti si ha quasi l'impressione, non proprio piacevole, che gli eventi accadano indipendentemente dal contributo del giocatore. Una sensazione di impotenza che però in questo caso ha l'effetto di accrescere l'orrore di determinate situazioni.

Per ambientazioni e dinamiche The Evil Within sembra una citazione di Resident Evil. Addirittura gli squartamenti a cui il protagonista va incontro quando viene raggiunto dai propri mostruosi nemici ricordano moltissimo il vecchio titolo Capcom: si tratta di brevi e ripetitive sequenze in cui il sangue scorre a fiumi e che, se le prime volte che si guardano suscitano orrore, le volte successive (tante, vista la difficoltà del gioco) finiscono con l'annoiare.

Ma le citazioni sono anche negli aspetti positivi: come già visto in Resident Evil 4, le ambientazioni diventano veri e propri labirinti del terrore, in grado di dare un angosciante senso di claustrofobia anche negli scenari all'aperto. Così come è stato per l'ultimo capitolo di Resident Evil firmato da Mikami, le caratteristiche prettamente da survival horror lasciano spazio a quello che è sostanzialmente una via di mezzo fra un action game e un horror psicologico.

Se c'è infatti un elemento che attraversa il gioco da cima a fondo è senz'altro quello della follia: basti pensare che le “stanze sicure” (quelle in cui si può salvare il gioco e recuperare energia), grande classico dei giochi di Mikami, sono sostituite da una sorta di patologico sogno, a cui si accede tramite degli specchi “incantati”, e in cui il protagonista si ritrova prigioniero in un ospedale psichiatrico dove un'inquietante infermiera lo sottopone a una specie di elettroshock.

The Evil Within ha il grande pregio di ritrovare quelle atmosfere da classico survival horror che molti fan credevano perdute per sempre. Gli elementi di novità sono pochissimi, ma per alcuni nostalgici tradizionalisti potrebbe trattarsi di una virtù. Se vi state chiedendo se c'è la classica sequenza in cui il protagonista vede una persona da lui conosciuta di spalle, accucciata e intenta a fare qualcosa di indecifrabile per poi scoprire che si tratta di uno zombie che sta masticando un cervello, beh, state tranquilli: c'è. E dopo tanti anni, è una cosa che fa sorridere, ma che non disturba, anzi. Si potrebbe dire che è uno dei veri marchi di fabbrica. Mikami è tornato. Un po' appannato, forse, ma è tornato.

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