Google lancia anche in Italia lo streaming musicale: 18 milioni di brani

Google lancia anche in Italia lo streaming musicale: 18 milioni di brani
di Mauro Anelli
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Sabato 10 Agosto 2013, 11:12 - Ultimo aggiornamento: 17:13
Da qualche tempo la musica era cambiata. Grazie principalmente agli svedesi di Spotify che hanno cavalcato l’offerta di streaming digitale risolvendo d’incanto i mal di pancia delle major discografiche e dando corpo e orecchie a una sorta di web-radio dove si pu ascoltare qualsiasi canzone gratuitamente su computer (ma sorbendosi un po’ di pubblicit) o, pagando un piccolo abbonamento, avere a disposizione tutta la musica del mondo sul proprio smartphone. Da ieri ha fatto irruzione anche Big G in questo appetitoso mercato, con il nuovo servizio Google Play Music All Access disponibile anche in Italia. La piattaforma di streaming musicale ricalca il servizio offerto da Spotify, con un mese gratis e la possibilità di abbonarsi pagando 9,99 euro mensili (o in promozione a 7.99, se la sottoscrizione avviene entro la metà di settembre). L'abbonamento fornisce l'accesso a una banca dati di 18 milioni di brani, da Pavarotti ai Sex Pistols, contro i 20 milioni dichiarati da Spotify. C’è anche la funzione chiamata Explore, che consiglia canzoni agli utenti in base ai loro ascolti frequenti. Il servizio standard consente anche di trasferire gratis su Google Play fino a 20.000 brani precedentemente memorizzati attraverso iTunes o presenti in una qualsiasi cartella sul proprio pc. Una volta aggiornata la collezione, si può ascoltare su dispositivi Android e su internet, sfruttando il proprio spazio cloud messo a disposizione degli utenti Google.



LA GUERRA



Mountain View dunque rompe gli indugi, dichiarando guerra non soltanto a Spotify, che ha una solida quota di mercato, ma soprattutto agli store di Amazon e Apple, suoi competitor diretti. Il giro d’affari per ora non è paragonabile ai negozi virtuali dei due colossi, ma il mercato è comunque a nove zeri e sembra decisamente più futuribile.

Inoltre, visto che gli smartphone Android hanno il 79,3% del mercato, è lecito pensare che gli utenti abituati all’ecosistema Google utilizzeranno i loro servizi con più facilità. L’unico vero tallone d’achille rispetto all’amatissimo Spotify è la mancanza dell’applicazione web dove si ascolta gratuitamente in cambio di spot. Anche sulle tariffe Spotify risulta più flessibile, perché offre due livelli: con 4.99 euro al mese si rimuove la pubblicità, spendendo 9.99 euro al mese si può disporre anche dell’App mobile e il download della musica.



VOGLIA DI SOCIAL



Un altro aspetto dove il canale di Google non ha potuto calare assi è quello social. Google offre solo la condivisione di singole canzoni su Plus, il social network di Mountain View che finora non regge il confronto con i giganti Facebook e Twitter. Spotify, che ha le mani libere e può stringere partnership con chiunque, permette di condividere tutta la musica delle proprie playlist, seguire gli amici su Facebook, curiosare tra i loro gusti musicali.

D’altra parte Google, che ha già in YouTube la piattaforma musicale più completa e redditizia del globo, dove fioccano commenti e attività social, punta a presidiare pesantemente anche il settore streaming audio semplicemente perché la musica sul web è un cavallo vincente. Basta vedere il successo di molte start up come Rdio, che oggi offre anche spazi a band emergenti, o il più professionale Soundcloud, l'erede del primo Myspace, un club virtuale dove è possibile ascoltare in alta qualità brani di artisti famosi e dialogare con loro attraverso micro post. Di certo c’è il piacere di bruciare sui tempi Apple, che in autunno lancerà insieme al sistema operativo iOS 7 il servizio di web radio di iTunes, una piattaforma simile a Pandora, che offre un ascolto personalizzato selezionato da centinaia di playlist compilate in base ai gusti degli utenti.



IL FUTURO



Lo scenario è dunque complesso, si intravede la smania da parte dei colossi come Google, Amazon e Apple di combattere una guerra dove vincere significa diventare monopolisti, utilizzando immense risorse tecnologiche ed economiche. Dall’altro lato, come spesso accade nel mondo digitale, a tracciare il solco sono piccole start up, con idee brillanti e vivacità nel trovare soluzioni gradite dagli utenti. A lungo andare, l’impressione è che il pubblico sarà disorientato dalla mancanza di dialogo tra le diverse piattaforme e dalla conseguente difficoltà nel condividere le proprie esperienze con tutti gli amici, che siano androidiani o fedeli alla mela di Jobs.

Perciò aspettiamoci delle sorprese di fine anno, quando anche la web radio di Apple calerà in campo con più convinzione (a Cupertino sembra però che ci sia un profilo basso sull’operazione) e tutto il settore potrebbe avere uno scossone, sul fronte dei prezzi e soprattutto delle alleanze.
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