«L'Albania è il cuore, l'Italia è l'arte», il tenore Saimir Pirgu si racconta

«L'Albania è il cuore, l'Italia è l'arte», il tenore Saimir Pirgu si racconta
di Rita Sala
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Lunedì 1 Settembre 2014, 13:54 - Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 00:46

giovane (appena 33 anni) ma gi famoso. Orgogliosamente albanese (a Elbasan, dove nato, si diplomato in violino), da poche settimane ha il passaporto tricolore: «Ho trascorso metà della mia vita in Italia, ho studiato canto al Conservatorio Claudio Monteverdi di Bolzano e vivo a Verona. Avevo solo 22 anni quando Claudio Abbado mi scelse per il ruolo di Ferrando nel Così fan tutte a Ferrara. Per me l’Italia è l’arte. Sono e resto albanese per appartenenza e carattere; mi sento italiano per la mia professione, il canto, che è anche la mia vita».

Saimir Pirgu festeggia la cittadinanza italiana appena acquisita con un Rigoletto alla Royal Opera House di Londra (debutto il 12 settembre), sul podio Maurizio Benini, regia di David McVicar. Il ruolo del Duca di Mantova gli sta a pennello: «Un maschilista - dice -. Canta “la donna è mobile” e sull’argomento la penso come lui. Eppure sono convinto che se il mondo fosse governato dalle donne sarebbe migliore».

Quando fa filosofia, Pirgu assume il pensiero e le frasi di un vecchio saggio. Li installa sul suo bel viso di ragazzo e capisci perché sappia interpretare con tanta pertinenza gl’impeti di Rodolfo nella Traviata, la deboche del Duca nel Rigoletto, i palpiti di Rodolfo nella Bohème, la dolcezza di Nemorino nell’Elisir d’amore oppure, in tutt’altro universo, l’Hostias et preces tibi dell'Offertorio nel Requiem di Verdi, deliziando Riccardo Muti che desidera, in quel punto, una voce di cesello. Con Muti, Pirgu lavora spesso. Ha appena cantato proprio il Requiem al Sacrario di Redipuglia, per le celebrazioni ufficiali dei cento anni dalla Prima Guerra Mondiale.

Grandi bacchette, i massimi teatri del mondo, viaggi continui, rapidi cambi di orizzonte: «Non mi scompongo - assicura - . Sono così impegnato ad onorare la fortuna che ho avuto, quella di arrivare in alto senza fare gavetta, da non sentire la fatica. L’ambiente della lirica non è facile. Non fa piacere a nessuno essere a Parigi o a Milano e doversi trovare il giorno dopo a Chicago, a Washington o in Giappone. Ma so che una carriera internazionale esige un professionismo ferreo. Immagino di essere un gladiatore che quotidianamente deve avere la meglio su una belva diversa, combatto, sublimo in concentrazione i tanti voli in aereo, i mutamenti del clima, la necessità di mangiare al ristorante, le lunghe sedute di prova. La voce, nel nostro ambito, non basta».

LA VOCE

Come protegge la sua, che dal belcantismo donizettiano si è resa capace di affrontare bellamente Verdi? «Tengo cari i piccoli muscoli che si chiamano corde vocali. Evito il freddo, non sforzo la voce quando studio, evito di perdere il benessere psicofisico cui un cantante, dotato di talento, deve la buona riuscita. Certo, accanto a ognuno di noi occorrerebbe un maggiordomo. Io non ce l’ho, ma sono felice lo stesso».

Pavarotti, con il quale si è formato, rimane uno dei suoi punti di riferimento. Ma spazia, Pirgu, s’informa, ascolta, riflette, allarga costantemente i propri interessi. Ora attende con gioia la visita di Papa Francesco nel suo Paese: «È la dimostrazione che l’Albania, dopo tanto isolamento, guarda all’Europa». E il Saimir italiano? «Cerca di essere un vero artista, per onorare al meglio la sua seconda patria».

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