Con il suo terzo album, Niente che non va, ha cercato di tagliare i ponti con il mondo del rap, che aveva colorato tante delle sue canzoni. «Chiamatemi cantautore», dice Coez, ospite di Messaggero Tv, mentre ammette: «Liberarmi dell'etichetta di rapper è un'impresa». Un nome d'arte che era un tag usato quando frequentava il mondo dei graffiti. «Ho iniziato a cantare perché la comunicazione della street art è fine a se stessa e io avevo bisogno di esprimermi in maniera più completa», sottolinea l'artista nato in provincia di Salerno ma romano di adozione (e in procinto di trasferirsi a Milano). «Mi spaventano molto i talent – aggiunge – macchine che tritano i ragazzi che in pochi mesi arrivano ad avere delle fan-base enormi. E' come costruire una casa partendo dal tetto, non tutti riescono a realizzare le fondamenta».
DEDICHE
Rispetto ai suoi lavori precedenti, Coez ora vuole ampliare la sua platea. Se il singolo La rabbia dei secondi è quello che «lo racconta meglio», Costole rotte è un omaggio-denuncia per Stefano Cucchi, mentre il «miglior pezzo di sempre» è quello che dà il titolo all'album ed è un tributo a Rino Gaetano. «Scrivere mi aiuta a superare i momenti difficili – ammette – è una terapia».