Da Aristofane a d'Annunzio e Camilleri, iI profumo della letteratura: due libri che fanno perdere la testa

Da Aristofane a d'Annunzio e Camilleri, iI profumo della letteratura: due libri che fanno perdere la testa
di Renato Minore
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Martedì 4 Agosto 2015, 13:57 - Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 09:28
Quanti profumi, sensuali, freschi, vigorosi, caldi, pungenti, maliziosi, inconfondibili. Il contadino delle “Nuvole” di Aristofane passa la prima notte di nozze sentendosi addosso un che di mosto, fichi secchi e lana. Sul davanzale che si affaccia su più di otto secoli di poesia italiana, c’è «la rosa fresca aulentissima» di Cielo d’Alcamo. Don Chisciotte sente dolcissima e irresistibile la fragranza che emana dalla bella Dulcinea che però, per lo scudiero Sancho, è solo odore di pesce guasto, questione di naso e di allucinazione, di punti di vista o di olfatto. Presa dal languore, la Signora Bovary chiude le palpebre per aspirare il profumo di vaniglia e limone, essenza forte della barba e dei capelli di Rodolphe, suo prossimo amante. Quando torna a casa dai suoi viaggi fantastici, Gulliver ha rifiuto per un anno della realtà, l’odore di sua moglie. Belli ricorda certo inconfondibile “profumo” d’ovatoste, “ avvisi sordi de scorreggia muta”, il principe Fabrizio Salina di Tomasi di Lampedusa s’inebria nelle fragranze del suo giardino di cui ricorda però un certo recente lezzo di cadavere.



Caproni ha ancora nelle narici la «scia di cipria, che non finiva», lasciata nel buio da Annina, l’indimenticabile madre, così come il Törless di Musil s’inebria per quella del corsetto della sua. E c’è anche il “biscottino nel tè”, la memoria che sa associare un profumo a un momento della vita, la "madeleine" e il recupero di un "tempo perduto" per Proust che occupa il primo posto nella hit parade del genere. Tutti abbiamo un naso, tutti sappiamo quanto sia ricco di sensazioni il mondo degli odori e dei profumi. Ma spesso ci mancano le parole per raccontarlo. Gli scrittori, in ogni tempo, l’hanno fatto, tentando di portarci nel suo “cuore espressivo”: se la lingua non basta a esprimere eros o struggimento, ecco che una fragranza supplisce.



Anche la letteratura ha un odore e una fragranza, anzi tanti odori e tante fragranze, i profumi, si sa, “servono a evocare luoghi, a ritrarre personaggi, a toccare le corde dell’emozione”. E a un’eccezionale “passeggiata olfattiva” ci guidano “Il profumo della letteratura” di Daniela M. Ciani Forza e Simone Francescato (“Il profumo nella letteratura”, Skira, 380 pagine 26 euro) e “La sua voce è profumo” (Mondadori, 212 pagine 12 euro) di Giovanna Zucconi, duplice viaggio seducente e per tanti versi imprevisto attraverso libri che hanno dedicato pagine su pagine a questa magnifica ossessione: quella, per fare un esempio da manuale, della povera Armida nella “Gerusalemme liberata”, condannata a rimanere da sola nel suo profumatissimo giardino incantato dove aveva sperato di ospitare per sempre l’adorato Rinaldo.



Due libri e una doppia “bibbia” del profumo che ne analizzano complessivamente storia, citazioni, avvenimenti, usi e tradizioni: la prima sistematica per aree geografiche e tradizioni dal profumo nel teatro, agli aromi di Oriente, alla Cina, agli antichi Romani, e l’altra per illuminazioni, significative zoomate e primi piani assai intensi. E quanti odori d’ogni natura, dopo una cavalcata così lunga, per il nostro l’olfatto che forse non è il senso più negletto, in questa nostra epoca pur così deodorata. Eccoli, uno accanto all’altro, il principe Genji e Faulkner, Baudelaire e la Bibbia, Catullo e Shakespeare, Melville e Saffo, Rostand e Hawthorne, Fitzgerald e Balzac, Pirandello e Moravia, Bulgakov e Calvino. Nelle pagine letterarie c’è tutto e di tutto sul profumo che può acquistare una strepitosa profondità di campo, toccare “il misticismo più astratto e la carnalità più turpe, tracciare divisioni di classe, utopie, nostalgie, devianze “. Il profumo resta un segno inequivocabile d’identità e differenza. Ma non solo, permette anche di definire il proprio rapporto con il mondo delineando approccio e sensazioni, fornendo in tal modo all’interlocutore un quadro più o meno esauriente di sé. L’odore emanato da un corpo è «la sua più segreta sostanza e, insomma, la sua natura”, scrive Sartre. Dentro la stanza dell’”Amante”, la Duras fa filtrare dalle persiane odori di zucchero caramellato, di noccioline tostate, di minestra cinese, di carne arrosto, di erbe, di gelsomino, di polvere, d’incenso, di brace... Per fortuna il corpo del suo amore proibito «sa di tabacco inglese, di profumo di lusso, di miele».



Le sensazioni olfattive sono al centro del romanzo di Suskind. Il protagonista, Grenouille, è una creatura che non ha odore, ma che proprio per questo presta notevole attenzione agli odori del mondo e che dell'odore della gente si "nutre". Profumano le prelibatezze culinarie di Adelina, la pelle di Livia, il mare. Andrea Camilleri, i suoi romanzi sono intessuti di fragranze, la parola sciauro, che vuol dire odore, ricorre spesso. Un suo libro s’intitola “L’odore della notte”. In un altro,” Il re di Girgenti”, è l’afrore erotico delle ascelle di Filònia a muovere il racconto. Un avvocato particolarmente viscido porta un “profumo diciastro che faciva vinniri il vomito”. Ma chi sono gli autori più profumati? «Dalla galea un profumo sottile e arcano/colpisce i sensi sulle rive vicine”: in Shakespeare profumano persino le vele della galea su cui viaggia Cleopatra. Il Bardo parla di un fiore o di un’essenza in quasi ogni suo scritto, tanto che nel mondo ci sono decine di giardini a lui dedicati dove si coltivano le sue piante preferite. Da Central Park a New York, al Golden Gate Park in California, c’è il rosmarino dell’ “Amleto”, il timo di “Una notte di mezza estate” o le pensée di “Romeo e Giulietta”. Tutte essenze che, con mille astuzie da brand, sono diventati profumi, come l’imperdibile “Molto rumore per nulla”, mix dal sensuale aroma di fico e vaniglia. Gabriele D’Annunzio non è da meno. Un po’ come in Shakespeare, il ricorso al profumo è un rafforzativo delle sue metafore.



I profumi sono testimonianza d’imprese passate o rievocazione d’incontri suadenti, ognuno con un proprio significato. Ed è esemplare la cura e la dovizia di particolari con cui egli descrive e reclama i propri boccettini da collezione del Vittoriale e l’attenzione riposta tanto ai contenuti tanto alle forme, anche le più bizzarre, dei vari flaconi. In più c’è il copywriter: il Vate battezzò la colonia che doveva celebrare la sua avventura nella città istriana “Acqua di Fiume”; suggerì il nome “Giacinto innamorato” a Giuseppe Visconti Vimodrone per un suo profumo; chiamò “Profumi del Carnaro” una serie di essenze prodotte dalla ditta Lepit di Bologna, che a lui si era rivolta per una consulenza.