"Il quadro maledetto", giallo di Fabrizio Santi agrodolce e con pochi brividi

"Il quadro maledetto", giallo di Fabrizio Santi agrodolce e con pochi brividi
di Carmine Castoro
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Venerdì 31 Luglio 2015, 04:55 - Ultimo aggiornamento: 13:09
«Il soggetto è innaturale e inquietante: un angelo illuminato da un raggio proveniente dal cielo. Immobile su un pendio e avvolto completamente da una veste purpurea, tiene in mano una pergamena su cui indica, con l’altra, un messaggio indecifrabile. C’è una torre, poi, da qualche parte sulla tela, una strada e un paesaggio sterile e pietroso dall’aspetto lunare. Il cielo, dai colori innaturali, mostra sullo sfondo degli strani pianeti. Questo, più o meno, è quello che si racconta».



Siamo solo a pagina 46 di questo libro di Fabrizio Santi, “Il quadro maledetto”, e già nelle parole di padre Gregorio, monaco anziano dei Vallombrosiani, c’è tutto il riverbero di una suggestiva atmosfera di ombre e di segreti che avvolge l’esistenza, non meglio identificata, di un dipinto le cui tracce visive, le cui tinte, i cui rimandi teologici – o diabolici – porterebbero all’insania chi lo osserva, con una lunga striscia di avvenimenti sinistri al seguito. L’opera pittorica riguarderebbe, appunto, una figura angelica, severa e composta, perfetta simbiosi di bellezza femminile e austerità maschile, che indica con una mano ciò che ha nell’altra, un foglio, cioè, con iscrizioni latine dalla traduzione complessa, mentre il paesaggio che fa da sfondo rimanderebbe a una sorta di rocca dirupata svettante, e a una strada dritta che si perde in un deserto.



Esiste davvero il quadro? E’ un pezzo d’arte somma o un tarocco per attirare chiacchiere e orditi di malavita? C’è una mente che dirige tutto questo? E se lo fa, è per custodire davvero un enigma alchemico che si tramanda nei secoli, o per ingannare le folle e nascondere affari di ben altro livello? E questo occulto insegnamento è rivolto al bene trasmesso dai padri della Chiesa o è un percorso deviato che porta verso la perdizione, il vizio, le tentazioni più fosche e deliranti? Il professore di Heidelberg Theodor Klinsmann, aiutato da una fascinosa donna, Irene, e da un pianista, Riccardo, si trova impantanato in questo “pasticciaccio” mentre fa visita allo zio Guido in Toscana, e qui, nelle lande del centr’Italia e all’ombra del Cupolone di Roma, in un secondo momento, si dipana una storia di inseguimenti, agnizioni, audacia e incoscienza, voglia di superarsi e di scoprire il vero, uomini che tramano, poteri sconosciuti e tentacolari, improvvisati cavalieri senza macchia e senza paura.



Giallo di esordio, questo di Santi, che mostra un po’ tutti i difetti di un debutto in un genere dove dettagli, suspense, intrecci e credibilità dell’insieme devono essere centellinati e dosati per non far “impazzire” l’impasto definitivo. Ne vien fuori un giallo agrodolce, che non offre tutto quello che promette – soprattutto dopo l’invogliante ed evocativo packaging -, seppur all’interno di una scrittura che rimane ben impostata e con un buon arrotondamento psicologico dei personaggi che “tradiscono”, forse, interessi e una sottotraccia malinconica in taluni tratti dello stesso autore. Purtuttavia, si avverte un miscuglio di stili e di intenzioni; il libro vorrebbe essere un noir che fa venire la pelle d’oca ma spesso ottiene l’effetto di un Cluedo, di una caccia al tesoro, di una black comedy – per dirla in gergo cinematografico – o del solito “codicedavincismo” rivisto e corretto che punta sul Vaticano come a un facile luogo-non-luogo di armonie universali e veleni prosaicissimi e perversi. Certamente, possiede del romanzo misteriosofico tutti gli elementi di appendice: incappucciati, sette esoteriche, cerimonie per iniziati, indovinelli, arcani da sciogliere, logiche sofistiche da applicare a porte magiche, pittori suicidi, temporali su abbazie, tonacati sordomuti, deliri di onnipotenza e di sapienza, bracieri che illuminano oscuri manieri e fughe nei boschi. Il libro è anche un’occasione per riconciliarsi con l’anima architettonica e urbanistica della Capitale di cui – si nota – è stato fatto un abile studio in termini di vie, dedali, chiese, storie locali, cunicoli sotterranei, terme ipogee e quant’altro il patrimonio della Caput Mundi offre e nasconde allo sguardo dell’uomo comune.



Ma lì dove il cuore nero della vicenda dovrebbe trovare le sue più travolgenti malie, proprio lì sembra battere i suoi rintocchi più lenti, e i nodi sembrano alla fine avvilupparsi intorno a vendette private di nobili disonorati e piccole vite da sgherri profittatori di provincia. Come se tutto fosse una fiction poliziesca astutamente sceneggiata intinta nell’inchiostro dei recessi più perturbanti della Civiltà e della Fede. Fino all’apoteosi misticheggiante e onirica delle ultime pagine che, sinceramente, sconcerta e disturba come epilogo per la sua inverosimiglianza allucinatoria e pseudofilosofica, per non dire che scarrucola alquanto il castello delle prove e delle certezze che ci si era guadagnati fino a qualche pagina prima durante la cattura del “cattivo” di turno.

Il consiglio è di non farsi depistare dall’enfatico sottotitolo della copertina che recita “Un grande thriller”, per non rimanerne delusi dopo. Certamente un giallo gradevole, da ombrellone – o da camino, fate un po’ voi -, ma il pensiero che resta è che il brivido e le vere matasse investigative siano da cercare altrove.



Fabrizio Santi è nato e vive a Roma. È laureato in Lingue e letterature straniere e insegna inglese in un liceo scientifico romano. “Il quadro maledetto” è il suo primo romanzo.



Fabrizio Santi “Il quadro maledetto” (Newton Compton, pagg. 333, euro 9,90)