"Cosa resta di noi", il giallo “sbagliato” di Giampaolo Simi

Luca Ricci
di Luca Ricci
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Venerdì 29 Maggio 2015, 17:53 - Ultimo aggiornamento: 31 Maggio, 18:13
Ad aprire la stagione estiva di Sellerio, per così dire, quest’anno è toccato a Giampaolo Simi con “Cosa resta di noi” (pag. 300, 14,00 €), giallo ambientato proprio dentro uno stabilimento balneare, anche se prevalentemente viene raccontato un mare d’inverno, dove i toni cupi superano abbondantemente i colori vivaci, tanto per finire di picconare quel poco che resta del mito della Versilia. Le tre pagine iniziali in cui si narra di una stramba nevicata a bassa quota valgono il prezzo del biglietto, e danno l’esatta dimensione della felicità della scrittura: “La nevicata ci sorprese nella mite solitudine del nostro inverno, intorpiditi come gatti su un davanzale. Ci ritrovammo in strada, come di colpo svegli, tutti insieme sotto la stessa coperta immacolata”.



Si comincia con l’immagine di una nevicata al mare, quarantasei centimetri di neve, in cui pare scomparire una donna. Segue la presentazione della coppia protagonista, che non può avere figli. Morte e sterilità sono le muse del romanzo?

Sì, si comincia con una morsa di gelo imprevista e straniante. Ma la neve è anche candida e il momento più crudo dell'inverno segna anche l'inizio di una nuova vita. Candore e rinascita: oggi ho capito che tutti i protagonisti della vicenda inseguono, magari inconsapevolmente, questi due miraggi.



Da contrappunto a questa cupezza usi spesso un registro più leggero, lo stesso grazie al quale il bagnino dello stabilimento dove si svolge la vicenda può definire una milf “compatta e porca”. Quanto hai lavorato sulla lingua?

La lingua doveva restituire sia la malinconia sia lo splendore degli inverni sul Tirreno. Doveva rendere l'ironia di gente che da un secolo e mezzo organizza un grande carnevale, ma anche la nostalgia che questa gente prova per quando doppiava Capo Horn a vela. Ogni frase è stata lavorata in modo che queste virate fossero continue e fluide.



A volte la pista gialla sembra quasi una scusa per aprire digressioni sul britpop anni novanta o sui cafoni che popolano la Versilia d’estate. Si dice spesso che un noir è un giallo “sbagliato”, concordi?

Le digressioni sono parte dell'indagine, perché "Cosa resta di noi" è un'indagine su due coppie in crisi, quindi sui loro ricordi e sulle loro passioni comuni. Concordo: in un noir tutto va storto e nessuno fa mai la cosa giusta. Questa catena di errori, veniali o meno, rende il noir imprevedibile ed emozionante.



Sei uscito per la collana La Memoria che proprio in questi giorni festeggia il suo millesimo volume. Nel libro c’è anche una sorta di discorso meta-editoriale, c’è un riferimento esplicito al Montalbano di Camilleri, e un discorso sulla comicità toscana che sembra messo lì apposta per smarcarsi da Malvaldi.

La comicità toscana è un brand usurato, ma ancora di grande presa. A noi toscani della costa lassù, già vicino alla Liguria e all'Emilia, appartiene fino a un certo punto. Io non mi occupo di commedia, ma per me la risata toscana è quella umanamente ruvida e cinica di Mario Monicelli. Uno che – anche a dispetto dei registri anagrafici – ha sempre sostenuto di essere nato a Viareggio. Proprio cento anni fa.



Twitter: @LuRicci74