Festival Venezia, in concorso Anime nere il male parla in dialetto

Festival Venezia, in concorso Anime nere il male parla in dialetto
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Sabato 30 Agosto 2014, 10:11 - Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 19:59

dal nostro inviato Fabio Ferzetti

VENEZIA - Due film sulla paura e la violenza, che oggi cos spesso violenza fratricida ( uno dei temi che corre attraverso i film della Mostra). Due registi che usano schemi molto classici per “leggere” fenomeni contemporanei. Due storie di brutale disperazione che affrescano mondi lontani anni luce.

Anime nere di Francesco Munzi parte da Amsterdam per portarci in poche vorticose scene ad Africo, passando per Milano. Dal narcotraffico globale alla lingua pietrosa dell’Aspromonte, dunque. Dagli intrecci tra economia criminale e economia reale, alla voce del sangue. Il sangue di due pecore rubate in un ovile a Lecco e scannate così, su due piedi, per festeggiare l’incontro di due fratelli. Ma anche il sangue versato decenni prima nella loro Calabria, che torna a farsi sentire. Anche se oggi Rocco e Luigi vivono quasi sempre lontano, al Nord. E se Rocco (Peppino Mazzotta), il più presentabile, quello con la cravatta e la moglie straniera (Barbora Bobulova), lavora nell’edilizia, Luigi (Marco Leonardi) lo finanzia con la droga.

Mentre il primo dei tre fratelli, Luciano (Fabrizio Ferracane), è rimasto con le sue capre in Calabria. A custodire una memoria che spera sepolta ma che si risveglierà per colpa di suo figlio Leo (Giuseppe Fumo). Il giovane che ha ereditato la rabbia dagli antenati senza sapere nemmeno perché. E se da un lato vorrebbe scappare da quel mondo arcaico e feroce, dall’altro ne rinnova la barbarie, come in una tragedia a cui non si sfugge.

DUE SGUARDI

Girato nei luoghi che racconta, parlato quasi sempre in dialetto con sottotitoli, sorretto da un cast che fonde a meraviglia ottimi attori e non professionisti, il primo grande film sulla criminalità calabrese (che non è solo ’ndrangheta) nasce dall’incrocio tra due sguardi e due passioni. Gioacchino Criaco, scrittore e giornalista calabrese, una vita passata a interrogarsi sulla sua terra e un fratello chiuso in un carcere di massima sicurezza, ci ha messo la conoscenza di prima mano dell’Aspromonte, storia, mentalità, tradizioni, leggi non scritte, travasata nel romanzo Anime nere. Francesco Munzi la voglia di rappresentare quel mondo evitando i cliché. Per leggere nel buio di quelle anime qualcosa che forse non riguarda solo loro ma tutto il nostro paese corrotto e ostinatamente premoderno.

Si sente la grande lezione antropologica di certo nostro cinema, da Visconti a Rosi e De Seta, da cui Munzi prende il gusto del dettaglio e la limpidezza con cui descrive i rapporti: di forza, di parentela, di sangue, di affari. Con un impeto che fa quasi rimpiangere lo schema così classico (così coerente) della tragedia, e lascia pensare cosa avrebbe potuto fare lasciando una porticina aperta ai capricci del caso.

Ma non si può volere tutto. In fondo anche l’americano di origini iraniane Rahmin Bahrani (non confondere col pianista quasi omonimo), nel potente 99 Homes affida allo schema arciclassico del patto col diavolo una storia moderna di rapacità. Il diavolo qui è un gangsteristico agente immobiliare che specula sui proprietari in ritardo col mutuo (e sulle spietate leggi Usa) cacciandoli di casa per poi frodare anche banche e governo (l’odioso e geniale Michael Shannon, condannato a ruoli da sadico e psicopatico). Mentre a scendere a patti con lui è un onesto operaio (Andrew Garfield) che dopo esser stato sfrattato con madre (Laura Dern) e figlioletto si mette a lavorare col suo aguzzino per salvare la casa, buttando fuori altri poveracci, ma perde l’anima. Magari Bahrani non sempre guarda per il sottile. Ma il mix di astuzia, brutalità, perfidia, uso maligno di codici e cavilli, disprezzo per l’umanità («L’America non fa credito ai perdenti. È stata fatta dai vincenti, con i vincenti, per i vincenti») serra la gola in un’angoscia concreta e circostanziata, come solo il cinema Usa sa fare.