Anime nere, Munzi scava nel cuore antico della malavita calabrese

una scena di
di Fabio Ferzetti
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Giovedì 18 Settembre 2014, 18:34 - Ultimo aggiornamento: 20:35
uscito in sala dopo la trionfale accoglienza veneziana Anime nere, il bel film sulla malavita calabrese diretto da Francesco Munzi. Dopo il fenomeno Gomorra, viene spontaneo iscrivere anche Anime nere al robusto filone dei lavori che indaga sulle nuove forme di criminalità, ma le somiglianze sono solo tematiche.



Saviano Malgrado l’autorevole sostegno di Roberto Saviano, espresso in un post su Facebook («Ho visto Anime Nere, film necessario, che consiglio. Per guardare in volto, finalmente, ciò che sino ad ora è stato ignorato. La Calabria come metafora di potere»), il taglio estetico e narrativo di Anime nere è molto diverso da quello dei lavori di Garrone e Sollima. In accordo con le notevoli differenze anche antropologiche tra criminalità calabrese e campana. Per dirla con uno slogan, il percorso narrativo di Gomorra è centrifugo, quello di Anime nere è centripeto.



Calabria, Europa Munzi infatti parte da Amsterdam per portarci in poche vorticose scene ad Africo, passando per la Milano della speculazione edilizia. Dal narcotraffico globale alla lingua pietrosa dell'Aspromonte, dunque. Dagli intrecci tra economia criminale ed economia reale, alla voce del sangue. Il sangue di due pecore rubate in un ovile a Lecco e scannate così, su due piedi, per festeggiare l'incontro di due fratelli.



Voce del sangue Ma anche il sangue versato decenni prima nella loro Calabria, che torna a farsi sentire malgrado le distanze. Rocco e Luigi oggi infati vivono quasi sempre al Nord, dividendosi in qualche modo i ruoli. Rocco (Peppino Mazzotta), il più presentabile, quello con la cravatta e la moglie straniera (Barbora Bobulova), lavora nell'edilizia, mentre Luigi (Marco Leonardi) lo finanzia con la droga.



Tre fratelli E Luciano, il primo dei tre fratelli (Fabrizio Ferracane), è rimasto con le sue capre in Calabria. A custodire una memoria che spera sepolta ma che si risveglierà per colpa di suo figlio Leo (Giuseppe Fumo). Il giovane che ha ereditato la rabbia dagli antenati senza sapere nemmeno perché. E se da un lato vorrebbe scappare da quel mondo arcaico e feroce, dall'altro ne rinnova la barbarie, come in una tragedia a cui non si sfugge.



Due sguardi Girato nei luoghi che racconta, parlato quasi sempre in dialetto con sottotitoli, sorretto da un cast che fonde a meraviglia ottimi attori e non professionisti, il primo grande film sulla criminalità calabrese (che non è solo 'ndrangheta) nasce dall'incrocio tra due sguardi e due passioni.



Aspromonte Gioacchino Criaco, scrittore e giornalista calabrese, una vita passata a interrogarsi sulla sua terra e un fratello chiuso in un carcere di massima sicurezza, ci ha messo la conoscenza di prima mano dell'Aspromonte, storia, mentalità, tradizioni, leggi non scritte, travasata nel romanzo Anime nere. Francesco Munzi la voglia di rappresentare quel mondo evitando i cliché. Per leggere nel buio di quelle anime qualcosa che forse non riguarda solo loro ma tutto il nostro paese corrotto e ostinatamente premoderno.



Tragedia Si sente la grande lezione antropologica di certo nostro cinema, da Visconti a Rosi e De Seta, da cui Munzi prende il gusto del dettaglio e la limpidezza con cui descrive i rapporti: di forza, di parentela, di sangue, di affari. Con un impeto che fa quasi rimpiangere lo schema così classico (così coerente) della tragedia, e lascia pensare cosa avrebbe potuto fare lasciando una porticina aperta ai capricci del caso.



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