Woman tax, gli stessi prodotti più cari per le donne, protesta la Federconsumatori

Woman tax, gli stessi prodotti più cari per le donne, protesta la Federconsumatori
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Sabato 20 Dicembre 2014, 18:03 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 11:16
Non solo politica e mercato del lavoro: le donne, per avere un trattamento paritario rispetto agli uomini, dovranno lottare anche sui prezzi dei prodotti. C’è una tassa invisibile che le consumatrici sono costrette a pagare quando acquistano un profumo o uno shampoo: è la “woman tax”, il rincaro di genere, applicato a beni di fatto uguali ma destinati ad acquirenti di sesso diverso. Le donne, infatti, arrivano a pagare fino al 50 per cento in più per un articolo che ai maschi può costare molto di meno (è il caso dei jeans: 120 euro per lui, 165 per lei - ben 45 euro di differenza).



Gli Usa sono stati i primi a vietare le discriminazioni sui prezzi, con una legge dello Stato della California datata 1996. Oggi uno studio di Federconsumatori ha fatto un po’ di calcoli, mostrando l’ingiusto squilibrio che pesa per oltre mille euro sulle tasche delle italiane. Alcuni esempi per capire di cosa stiamo parlando: una crema per il viso, che un uomo paga 24 euro, ne costa 30 se ad aprire il portafogli è una donna; il prezzo di una polo manica corta è di 71 euro per lui e quasi 80 per lei; per uno zaino un acquirente se la caverà con 28 euro, ma se alla cassa si presenta una cliente la cifra lieviterà oltre i 40 euro. Tra i casi più vistosi di disparità c’è il profumo in una confezione da 75 ml: 79 euro contro 51; una montatura per occhiali a lui costa 93 euro, a lei 109. Ci sono anche, e per fortuna, differenze più trascurabili: un deodorante può subire un rincaro di meno di 40 centesimi, così come un set di rasoi da sei pezzi (4,69 euro contro 4,33). Certo, si dirà, alcuni prodotti sono considerati unisex, essendo utilizzati indifferentemente da maschi e da femmine. Ma non si capisce, a maggior ragione, il senso di un valore aggiunto, in articoli pensati per lei, che di fatto non c’è. Perché un bagnoschiuma, specificamente prodotto per donne, deve costare 3,54 euro e uno più adatto a clienti maschi 3,14? L’aspetto più spiacevole è che questi rincari di genere non toccano solo singoli beni ma anche servizi. Per uno shampoo con piega dal parrucchiere l’aumento è del 70 per cento: sullo scontrino di lui è scritto “10 euro”, a fronte dei 17 chiesti all’altra metà del cielo.



È pur vero che le donne - più sensibili alle scelte di marketing, soprattutto in alcuni settori come la cosmesi - sono disposte a spendere un po’ di più rispetto agli uomini a patto di sentirsi soddisfatte dall’acquisto. Ma da qui a strumentalizzare una tendenza commerciale per commettere vere e proprie discriminazioni, ce ne passa. Anche perché il consumatore va corteggiato, non preso in giro. E le acquirenti non sono affatto stupide. Qualche anno fa la Bic propose una penna di colore rosa, appositamente pensata per affusolate mani femminili. La reazione fu tale (proteste su proteste) che in poco tempo venne ritirata dal mercato. Insomma, non basta qualche trovata “gender-oriented” per rendere più desiderabili per le clienti prodotti che non hanno nulla di speciale.
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