Reinhold Messner compie 70 anni: «Io, freelance della montagna»

Reinhold Messner compie 70 anni: «Io, freelance della montagna»
di Stefano Ardito
4 Minuti di Lettura
Giovedì 28 Agosto 2014, 13:50 - Ultimo aggiornamento: 13:53
Il 17 settembre, in un luogo top-secret delle Dolomiti, un centinaio di parenti e di amici festeggeranno i settant’anni dell’alpinista pi famoso del mondo. Sarà una festa semplice. Piatti di montagna, buon vino, poi un brindisi intorno a un grande falò. Alla fine, ognuno dei partecipanti sistemerà il suo sacco a pelo sul prato, e passerà il resto della notte sotto alle stelle. Reinhold Messner, che tra i venti e i trent’anni ha compiuto dei grandi exploit sulle rocce delle Dolomiti, è diventato famoso in tutto il mondo nel 1986, quando ha completato la collezione dei 14 “ottomila” della Terra. Ha venduto milioni di libri (l’ultimo, La vita secondo me, esce in questi giorni da Corbaccio), è stato parlamentare europeo. Nel 1996, con i suoi musei dedicati alla montagna, è diventato un imprenditore culturale famoso.

Per il suo compleanno avrebbe dovuto essere pronto il suo sesto museo, quello di Plan de Corones, presso Brunico.

«Non ce l’abbiamo fatta. Zaha Hadid e la sua équipe di architetti ci consegneranno i locali a ottobre, poi dovremo allestire il museo. Apriremo a dicembre, all’inizio della stagione sciistica».

Quali saranno i temi del museo?

«Plan de Corones è un belvedere sulle Dolomiti. Il museo sarà sotterraneo, invisibile dall’esterno. Dalle finestre si vedranno le Odle, il Putia, la Civetta e altri massicci. Le sale saranno dedicate all’alpinismo tradizionale. Ci saranno quadri, foto, video, cimeli».

Nei suoi altri musei lei ha raccontato poco sé stesso. Lo farà anche a Plan de Corones?

«No, i visitatori dei musei di Castel Firmiano, di Brunico, di Monte Rite, di Juval e di Solda chiedono sempre “ma dov’è la roba di Messner?” Qui saranno accontentati».

Alpinista, esploratore, scrittore, ora imprenditore culturale. Quando ha capito che la montagna, la sua passione, sarebbe diventata anche il suo lavoro?

«Nel 1970, dopo la spedizione al Nanga Parbat che è costata la vita a mio fratello Günther e a me l’amputazione delle dita dei piedi, sono diventato un personaggio noto. Nel 1975, il mio libro sulla spedizione all’Hidden Peak, dove ho tracciato una via nuova in stile alpino, è stato il primo a vendere molto bene. Poi ho iniziato a fare conferenze ben pagate, di fronte a migliaia di persone».

Si definisce un alpinista professionista?

«All’inizio lo ero, poi sono diventato un freelance della montagna. Oggi alcuni alpinisti sono stipendiati dalle aziende e pensano solamente alle loro scalate e alle loro spedizioni. Ai miei tempi era più complicato, ho dovuto sempre occuparmi di molte cose».

I suoi quattro figli hanno ereditato la passione per la montagna?

«Layla vive in Canada, Magdalena ama la scrittura, Anna, la più piccola, ama soprattutto lo sci. Simon, 24 anni, che studia biologia, è un ottimo alpinista. Qualche volta andiamo ad arrampicare insieme, e il capo-cordata è lui. Mi sgrida perché non mi alleno».

C’è ancora qualche montagna che la attira?

«Certo, e spesso sono montagne vicine. A settembre vorrei salire con Simon la via normale italiana del Cervino, un capolavoro aperto nel 1865 dalla guida valdostana Luigi Carrel. Ma quest’anno c’è tanta neve, forse andremo nel 2015».

Lei ha scritto decine e decine di libri. L’anno scorso il regista bavarese Andreas Nickel le ha dedicato un film. Quali sono i suoi progetti?

«Il cinema mi ha sempre appassionato, in passato ho lavorato con Werner Herzog. Ora sto cercando i fondi per un film scritto e diretto da me. Il soggetto è quasi pronto. Chiederò l’aiuto di un regista, ma voglio che sia un’opera mia».

Si celebra il centenario della Grande Guerra, a Bolzano ha aperto un museo che racconta in modo non di parte il passaggio dell’Alto Adige dall’Impero austro-ungarico all’Italia. Sono iniziative positive?

«Certamente. Raccontare e capire è il solo modo per andare avanti. In Italia se n’è parlato poco, ma il museo è stato contestato duramente dalla nuova estrema destra altoatesina».

Com’era l’Alto Adige/Sudtirolo quando lei era giovane?

«Più povero, con forti disuguaglianze, molto più chiuso. Io ho accettato il fatto di essere un cittadino italiano di lingua e cultura tedesca, ma per questo sono stato criticato duramente. Anche da Silvius Magnago, fondatore della Südtiroler Volkspartei».

Cosa pensa del rapporto tra l’Alto Adige e il resto d’Italia?

«Agli altoatesini di lingua tedesca dico che per far uscire l’Italia dalla crisi, ammesso che sia ancora possibile, dobbiamo pagare anche noi. Agli italiani dico che non è giusto invidiare la nostra autonomia».

Continuerà a vivere qui?

«Certo, il Sudtirolo è la mia terra. Il clima è ottimo, l’economia funziona, il bilinguismo è una grande opportunità per tutti. Questa provincia ai piedi delle Alpi è un luogo straordinario per vivere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA