Un italiano sulla copertina di "Nature", è l'astrofisico Francesco Tombesi

Francesco Tombesi (da Twitter)
di Giacomo Perra
2 Minuti di Lettura
Venerdì 27 Marzo 2015, 21:30 - Ultimo aggiornamento: 31 Marzo, 14:05
Dalle Marche alla copertina di “Nature”. È la distanza coperta con un bel salto tra le stelle da Francesco Tombesi, astrofisico nato il giugno di quasi trantatre anni fa a Recanati. Da buon compaesano di Giacomo Leopardi, che alla storia dell’astronomia dedicò una delle sue innumerevoli opere, ha coltivato la passione per pianeti e corpi celesti fin da bambino e ora il (settimo) cielo l'ha toccato davvero. Con un curriculum come il suo - lavora dal 2010 al NASA - Goddard Space Flight Center di Washington e, in qualità di ricercatore, al Dipartimento di Astronomia della Università del Maryland -, d’altronde, arrivare al top - e la prima pagina di una delle più antiche e prestigiose riviste scientifiche del mondo lo è di sicuro - è stata solo una logica conseguenza.



Ottenere un riconoscimento così ambito non è stato comunque semplice, anche perché per riuscirci ha dovuto lavorare a una scoperta molto importante. Le indagini condotte insieme a un’equipe di studiosi, infatti, l’hanno portato a individuare e ad esporre gli sconvolgimenti creati da un buco nero localizzato al centro della galassia IrasS F11119 e a 2,3 miliardi di anni luce dalla Terra. Tombesi ne ha osservato e raccontato i fortissimi venti - con picchi di velocità pari a un quarto di quella della luce - “che poi vanno a impattare il mezzo interstellare a distanze estremamente grandi, fino a 1000 anni luce. E questo provoca una riduzione del materiale che sarebbe servito a formare nuove stelle”, ha raccontato a media.inaf.it, portale d’informazione dell’”Inaf”, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, a cui il ricercatore marchigiano è associato.



Prodotta attraverso la comparazione delle risultanze ottenute da due telescopi spaziali, l’europeo Herschel e il nippo-americano Suzaku, la ricerca di Tombesi è riuscita a dimostrare “in modo inequivocabile il collegamento mancante in altri studi, quello fra i venti (outflows) di gas molecolare a grande scala, osservati in infrarosso con il satellite Herschel dell’Esa, e i venti relativistici (ultra-fast outflows) emessi dai buchi neri che ne sono all’origine, osservati in banda X con Suzaku. Per la prima volta siamo riusciti a confrontare questi due tipi di gas, a vedere che il buco nero riesce a produrre questi venti, inizialmente a velocità molto elevate, fino al 25 percento della velocità della luce”.