La Land Cruiser lascia l’asfalto delle strade di Malindi per imboccare la Sala Road, la grande strada di terra battuta che parte dalla costa del Kenya per inoltrarsi verso i grandi territori dell’interno.
Bastano pochi chilometri e già tutto cambia: il traffico della famosa cittadina turistica lascia lo spazio ai primi villaggi, dove bambini senza nulla salutano allegramente il passaggio dei fuoristrada diretti perlopiù verso lo Tsavo East National Park. La destinazione non è lontana: un piccolissimo villaggio appena dopo Ganda e poi oltre le piantagioni di manghi che punteggiano questo tratto di terre pianeggianti. Alla guida dell’auto c’è Luca Macrì, una nota guida di safari, un italiano nato in Kenya completamente a suo agio nella cultura locale e conoscitore palmo a palmo di questa regione: con lui stiamo andando da uno sciamano dei serpenti di etnia Giriama che produce la Pietra Nera, conosciuto come Mzee Myoka ovvero Signore dei Serpenti. Arrivati al villaggio di Kakujuni, Macrì accosta sul bordo della strada e si inoltra a piedi nelle prime capanne.
Dopo aver parlato con alcune donne in perfetto kiswahili, dice che dobbiamo attendere, andranno subito a chiamare lo sciamano.
A vedere i suoi rettili, è chiaro che anche lui abbia dovuto usare la Pietra Nera su se stesso e infatti mostra il mignolo della mano destra morso da una grossa vipera soffiante che poi ci mostra tirandola fuori da una delle sue teche. Si può essere scettici su questo scaglia del vecchio sciamano, ma Carla Fiscarelli, una foggese che quasi 50 anni fa seguì il marito Elio Altomare in Kenya con il quale da allora vive sull’Equatore, ha un personale racconto assai illuminante: «Alcuni anni fa stavo camminando nei pressi di un pozzo vicino casa a Kibokoni, quando avvertii una forte fitta sulla coscia. Uno spitting cobra mi aveva morso, tanto violentemente da lasciarmi un dente infilato nella gonna. Mantenni la calma e mandai un ragazzo a prendere una lametta da barba e la Pietra Nera che tenevo in un cassetto; così mi incisi profondamente sul morso e nel sangue che usciva affondai quel tozzetto scuro che si saldò subito alla ferita». Ricorda Elio, il marito: «A quei tempi lavoravo nella base di lancio San Marco ad Ngomeni. Quando arrivai all’ospedale dove l’avevano portata, trovai mia moglie su un letto, i medici la stavano tenendo solo sotto osservazione, non le fecero nessun siero antiveleno. La Pietra Nera aveva svolto il suo compito assorbendo il veleno. Stentavo a credere che Carla fosse sopravvissuta solo con l’applicazione di quella specie di sasso, poiché quando vidi il serpente che avevano ucciso era lungo più della mia altezza e grosso come il mio braccio». Chiediamo a Mzee Nyoka se nella sua piccola capanna buia ha mai applicato lui stesso la Pietra Nera a un turista bianco e nella traduzione di Macrì ci dice che solo una volta gli portarono un europeo che era stato morso nel bush: gli applicò la Pietra Nera e poi li vide ripartire verso Malindi. Da allora non ne ha saputo più nulla, ma se così è probabilmente nel mondo c’è una persona che deve la sua vita a questo vecchio sciamano.