Kenya, incontro con il "Signore dei Serpenti": lo sciamano che guarisce dai morsi dei rettili

Kenya, incontro con il "Signore dei Serpenti": lo sciamano che guarisce dai morsi dei rettili
di Alessandro Di Giacomo
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Giovedì 1 Ottobre 2015, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 16:04

La Land Cruiser lascia l’asfalto delle strade di Malindi per imboccare la Sala Road, la grande strada di terra battuta che parte dalla costa del Kenya per inoltrarsi verso i grandi territori dell’interno.

Bastano pochi chilometri e già tutto cambia: il traffico della famosa cittadina turistica lascia lo spazio ai primi villaggi, dove bambini senza nulla salutano allegramente il passaggio dei fuoristrada diretti perlopiù verso lo Tsavo East National Park. La destinazione non è lontana: un piccolissimo villaggio appena dopo Ganda e poi oltre le piantagioni di manghi che punteggiano questo tratto di terre pianeggianti. Alla guida dell’auto c’è Luca Macrì, una nota guida di safari, un italiano nato in Kenya completamente a suo agio nella cultura locale e conoscitore palmo a palmo di questa regione: con lui stiamo andando da uno sciamano dei serpenti di etnia Giriama che produce la Pietra Nera, conosciuto come Mzee Myoka ovvero Signore dei Serpenti. Arrivati al villaggio di Kakujuni, Macrì accosta sul bordo della strada e si inoltra a piedi nelle prime capanne.

Dopo aver parlato con alcune donne in perfetto kiswahili, dice che dobbiamo attendere, andranno subito a chiamare lo sciamano.

Si resta così in attesa tra le piccole case-capanne sparse sotto grandi alberi, osservati con amichevole curiosità da bambini e famiglie varie. Poco dopo, dalle stradine sterrate compare un piccolo uomo anziano di età indefinita vestito solo di una pareo giallo e nero e una vecchia maglietta sdrucita presa chissà dove. E’ Saidi, lo sciamano che qui tutti chiamano quando qualche rettile entra nelle capanne o nei pollai o arriva troppo vicino ai piccoli insediamenti rurali o peggio ancora quando ormai si è stati morsi. Il sorriso sdentato di Saidi è contagioso, raramente in Europa si può vedere una persona apparentemente felice solo di esistere come lui. Macrì è imparentato con lui tramite la famiglia di sua moglie Sharifa, una donna dello stesso ceppo tribale. Dopo la ovvia festosa accoglienza riservata al parente acquisito e le presentazioni di rito, Saidi Mzee Nyoka mostra i suoi terrai approssimativi, dove serpenti velenossimi sono acquattati nella penombra. Grazie alla traduzione di Macrì descrive la vita di questi animali nella foresta e di come occorre comportarsi per evitare pericolosi incontri ravvicinati e conseguenze gravissime. Poi, con fare divertito, Saidi tira fuori una vecchia infradito azzurra dove conserva i denti persi dai suoi serpenti, ordinatamente infilati sul contorno della scarpa come una macabra decorazione. Dopo aver visto i serpenti, ovviamente la vera curiosità si rivolge tutta alla Pietra Nera, il manufatto salvavita che si deve applicare sul morso fresco di rettili o insetti letali. Saidi lo prepara con la radice dell’albero di mvuri, che trova nell’Arabuko Forest: con un un trattamento simile a quello con cui qui si ricava il carbone, la rende capace di assorbire il letale veleno quando la si applica sulla carne viva. Infine, ce la mostra tirandola fuori da una vecchia borsetta: piccoli pezzi scuri fossilizzati che vanno applicati sul labbro umettato di saliva per verificare la loro efficacia. Infatti, se vi si incollano saldamente vuol dire che il prodotto è perfetto: Saidi ne porta uno alla bocca, che sembra saldarsi e poi lo stacca lentamente e con attenzione.

A vedere i suoi rettili, è chiaro che anche lui abbia dovuto usare la Pietra Nera su se stesso e infatti mostra il mignolo della mano destra morso da una grossa vipera soffiante che poi ci mostra tirandola fuori da una delle sue teche. Si può essere scettici su questo scaglia del vecchio sciamano, ma Carla Fiscarelli, una foggese che quasi 50 anni fa seguì il marito Elio Altomare in Kenya con il quale da allora vive sull’Equatore, ha un personale racconto assai illuminante: «Alcuni anni fa stavo camminando nei pressi di un pozzo vicino casa a Kibokoni, quando avvertii una forte fitta sulla coscia. Uno spitting cobra mi aveva morso, tanto violentemente da lasciarmi un dente infilato nella gonna. Mantenni la calma e mandai un ragazzo a prendere una lametta da barba e la Pietra Nera che tenevo in un cassetto; così mi incisi profondamente sul morso e nel sangue che usciva affondai quel tozzetto scuro che si saldò subito alla ferita». Ricorda Elio, il marito: «A quei tempi lavoravo nella base di lancio San Marco ad Ngomeni. Quando arrivai all’ospedale dove l’avevano portata, trovai mia moglie su un letto, i medici la stavano tenendo solo sotto osservazione, non le fecero nessun siero antiveleno. La Pietra Nera aveva svolto il suo compito assorbendo il veleno. Stentavo a credere che Carla fosse sopravvissuta solo con l’applicazione di quella specie di sasso, poiché quando vidi il serpente che avevano ucciso era lungo più della mia altezza e grosso come il mio braccio». Chiediamo a Mzee Nyoka se nella sua piccola capanna buia ha mai applicato lui stesso la Pietra Nera a un turista bianco e nella traduzione di Macrì ci dice che solo una volta gli portarono un europeo che era stato morso nel bush: gli applicò la Pietra Nera e poi li vide ripartire verso Malindi. Da allora non ne ha saputo più nulla, ma se così è probabilmente nel mondo c’è una persona che deve la sua vita a questo vecchio sciamano.